HOME non è mai politica attuale la parola dei profeti disarmati, ma in un popolo ci vogliono i politici attuali e i politici inattuali, e se i primi sono giudicati savi e i secondi matti, ci vogliono i savi e ci vogliono i matti, e guai ai popoli che hanno solo i savi perché spetta di solito ai matti porre e coltivare i germi della politica avvenire (B. Croce)
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Grandi menti parlano di idee, menti mediocri parlano di fatti, menti piccole parlano di persone. (E. Roosevelt)

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lunedì 16 giugno 2008

Il testo della relazione di Luca Diotallevi al convegno "Una comune responsabilità per il futuro della città"

Noi del Circolo del Buongoverno "Conca Ternana" siamo da sempre attenti alle idee che possono incidere sul futuro della Città. La relazione di Luca Diotallevi è un testo importante e in gran parte condivisibile sotto vari profili. Chi si impegna da anni nella politica locale e nel campo culturale per il rinnovamento della Città troverà alcuni temi e concetti già noti e molte volte già espressi e sostenuti in prima persona. Questo nulla toglie al valore della relazione, anzi descrive letteralmente gli spazi per "una comune responsabilità per il futuro della Città". In questo senso sarebbe imperdonabile da parte nostra un atteggiamento di sufficienza, perché significherebbe da un lato accodarsi al provicialismo culturale che invece combattiamo e dall'altro arroccarsi in posizioni improduttive. Certo molto potremmo aggiungere, dal nostro punto di vista, riguardo alle infrastrutture, alla sicurezza, alla concretezza rispetto ai sistemi politici e decisionali in atto (tanto per fare alcuni esempi), ma non possiamo non salutare con gioia la presenza di nuovi importanti soggetti sui temi della competizione di mercato, della competizione territoriale, sul "primato della crescita" campi dove il dialogo politico e culturale a Terni è stato sempre carente e parziale, anche per una nostra insufficienza a far valere le nostre buone ragioni. Per questi motivi l'intervento del Prof. Diotallevi va letto con grande attenzione. Per questi motivi va ringraziato Mons. Paglia per il servizio che ha reso alla Città.
Per approfondimenti segnaliamo il blog ufficiale dell'evento "Responsabili per il futuro della città" all'indirizzo http://responsabiliperilfuturo.splinder.com/
Riprendere un cammino, condividere una agenda, ricostituire una città
1. Un invito alla franchezza - Signore, signori,ancora poco fa abbiamo sentito ripetere l’invito rivolto dalla Chiesa diocesana e dal Vescovo a tutta la città. È l’invito a parlare con chiarezza sul presente e sul futuro della nostra comunità locale. Nella lingua del Nuovo Testamento saremmo stati invitati a parlare εν παρρησια (Col 2, 15), con franchezza, del futuro e del presente della nostra comunità locale.Il contenuto di questa franchezza non può essere solo una analisi, bensì l’indicazione di una positiva interpretazione delle sfide e delle opportunità del nostro presente. Queste pagine hanno attinto facilmente – per opera di molti autori e molte autrici – alla elaborazione ecclesiale di questi ultimi anni, ed in particolare agli interventi pubblici del Vescovo, alla riflessione sul tema “Eucaristia e città” avviata dal Consiglio Pastorale Diocesano sin dal 2002, ed accompagnata in particolare dal lavoro del Congresso Diocesano dei Laici, e dall’impegno profuso nella stessa direzione dall’Azione Cattolica e dalla Caritas diocesane.
2. La franchezza del realismo, innanzitutto - Proprio questa sala è un buon argomento contro il timore di una situazione senza via d’uscita per la nostra comunità locale. Questo, da solo, non è un argomento risolutivo, ma di certo è un argomento non trascurabile. L’invito della Chiesa diocesana è stato accolto, a dimostrazione che la città reagisce, è capace di interrogarsi, possiede energie ed anticorpi. Ma c’è dell’altro, se guardiamo ancora un poco più a fondo. La comunità locale ha risposto in tutto il suo articolarsi plurale. Ciò rivela che questa nostra comunità ha ancora la forma di una “città”, con una pluralità di soggetti e di istituzioni. Ora meno che mai, dunque, ci sono buone ragioni per non guardare anche al lato negativo della realtà, né per farsene dominare.
ProcessiA partire almeno dalla metà degli anni Novanta e fino al 2005 la provincia di Terni è rimasta indietro rispetto al resto del paese. Se nel 1995 il valore aggiunto per abitante di Terni era all’incirca già di 6 punti percentuali al di sotto sia della media italiana sia della provincia di Perugia, dieci anni dopo il distacco con Perugia era di 10 punti e quello con la media nazionale si era allargato fino a 14 punti. Ciò significa che la nostra economia ha marciato ad un ritmo decisamente più lento di quello del resto d’Italia, già molto lento. I dati per il 2007 confermano sostanzialmente il permanere di questo gap.Stentano ad emergere attività industriali e soprattutto terziarie, a maggiore produttività e a più alta intensità di fattori immateriali e di capitale umano qualificato. Anche i dati relativi all’occupazione segnalano un deficit strutturale di opportunità di lavoro. Ancora nel 2006 il tasso di occupazione totale della provincia di Terni era molto al di sotto di quello di Perugia. In questa condizione di debolezza, l’invecchiamento della popolazione rappresenta un ulteriore e grave fattore di rischio per il futuro della nostra comunità, sia per la tenuta del welfare locale che per i bilanci delle famiglie. Nel 1971 nel territorio della diocesi c’erano solo 56 persone con più di 65 anni ogni 100 giovanissimi di età fino ai 14 anni. A metà del decennio in corso nell’area di Terni Narni e Amelia le proporzioni quantitative tra le fasce di età si sono completamente invertite: ora ci sono più di 200 anziani ogni 100 giovanissimi. Oggi, in tutta Italia, solo la Liguria presenta una situazione più grave.Terni resta una delle aree locali più sicure del paese, ma il ritmo di crescita della criminalità denunciata è tra i più elevati di tutto il paese.
Ben sappiamo che questi dati non rappresentano tutta la realtà, e proprio per questo non è di alcuna utilità ignorarli. Qualcosa di analogo, del resto, era già emerso dalla relazione tecnica con la quale si era aperta la conferenza economica cittadina del Comune di Terni nel 2006.Si tratta di ‘crisi’? Si tratta di ‘declino’? Pur di non perdere una buona occasione di confronto, come questa, possiamo anche accantonare per un momento una questione che non è certo solo nominalistica. Possiamo non chiudere la definizione di questi fenomeni a patto però di non ignorarli.
Coscienza dei processiSenza una diffusa coscienza di questi processi, un nuovo fattore di crisi si aggiunge a quelli già all’opera.Per un verso, come emerge da un recente sondaggio (commissionato dalla diocesi e dal Consiglio Pastorale Diocesano in vista di questo incontro alla agenzia di ricerca internazionale GFK-Eurisko e condotto nel mese di Maggio u.s. su di un campione di 1000 ternani e rappresentativo della intera popolazione per età, sesso, titolo di studio e condizione professionale), alla crisi si aggiunge una diffusa non consapevolezza della crisi che ormai sembra prevalere nella opinione pubblica ternana. Solo un numero, ma emblematico: 3 ternani su 4 pensano che nella nostra città la maggior parte degli individui sia occupata nell’industria. Oggi questa città conosce se stessa troppo poco, e senza autocoscienza collettiva certamente non può esserci ancora sviluppo.Per altro verso, lo stesso sondaggio mostra che ampie fasce della popolazione più giovane e più istruita (il 40% dei giovani tra 18 e 34 anni) non vedono il proprio futuro professionale che fuori e lontano da Terni.
3. Ma una città c’è… - ma a rispondere è stata una comunità in forma di città! E, nella misura in cui l’invito è stato accolto in questa forma plurale, con consensi, dubbi, cautele e schiette critiche, si è fatta più seria la crisi di una vecchia idea e di una vecchia pratica della politica, intesa come competenza esclusiva di pochi sul tutto. Con una risposta del genere è entrato in crisi uno dei fattori che frenano lo sviluppo: l’idea che l’ultima se non l’unica parola sulla città sia dei politici.La città aperta e plurale ha certamente bisogno di una politica efficace, in grado di assumersi le proprie responsabilità. Ma la città soffre di una politica che si percepisce come il punto nel quale si tirano le fila, si ricapitola, si sintetizza, si tiene insieme. Ciascuna istituzione, a modo proprio, tira le fila, ricapitola, sintetizza, tiene insieme. Questo è il punto. Nella città plurale non c’è posto per il primato di nessuna istituzione sociale. Ciascuna istituzione sociale ha titolo per parlare alla città e della città, tutta intera, dal proprio punto di vista. Può essere, e deve essere parziale il punto di vista: non è parziale, ma globale, l’oggetto e la responsabilità. Chi ha risposto all’invito della Chiesa e del Vescovo ritiene che quell’invito può trasformarsi in una positiva discontinuità. E questa possibilità sfida ormai pubblicamente la nostra responsabilità: una responsabilità comune per il futuro della città.
Rinnovamento per competizione La discontinuità che cerchiamo non può avvenire per consenso ma per competizione. Ciò non significa voler lacerare la comunità, perché la competizione per l’innovazione può unirci molto di più ed in modo più civile di quanto ci unisce il consenso ad ogni costo. E poi, è solo questa competizione per il rinnovamento che garantisce il ricambio dei gruppi dirigenti, in ogni ambito e non solo in quello politico, ed una più generale mobilità sociale. Non ci sono alternative: nuovi gruppi dirigenti si formano a mezzo di altri gruppi dirigenti. Solo dalla competizione e dalla sfida giunge quel rinnovamento che ha il grado di discontinuità necessario.Non ci sono alternative: solo preferendo il merito alla posizione, ovunque, si promuovono il rischio e la sperimentazione. Il merito suppone la competizione, la competizione è l’antidoto all’accomodamento.
4. Una doppia discontinuità - Questa nostra responsabilità ha di fronte a sé una domanda chiara e stringente: come rispondere alle sfide ed alle gravi difficoltà con cui abbiamo a che fare?Proprio questo è il punto in cui accettiamo davvero oppure lasciamo cadere l’invito alla franchezza.
Tornare a crescereOra non si tratta di discutere di modelli ideali. Non ne abbiamo il tempo e non è utile. Il combinarsi dell’accelerazione dello sviluppo globale e del significativo rallentamento del nostro cammino, ci impongono di cominciare da una questione più cruda.Certamente lo sviluppo ha tanti modelli, ed è comunque qualcosa di diverso e di più ampio della mera crescita economica, ma con chiarezza dobbiamo chiederci se in questo momento la nostra comunità locale può negare il primato alla questione della crescita. A nostro giudizio la risposta è “no”. Senza una ripresa della crescita parlare di sviluppo è un alibi. Solo avendo chiarito questo punto possiamo aggiungere che porre con chiarezza la priorità della crescita significa pensare a prospettive in cui elementi materiali ed immateriali, strutturali ed ambientali, organizzativi ed umani, si combinano.
Discontinuità d’identitàCiò detto, non possiamo far finta di non capire che mettere oggi ai primi posti della nostra riflessione i temi della crescita e del ricambio dei gruppi dirigenti, significa esigere e forse già avviare un cambiamento nell’identità della città.La maturazione di una nuova immagine della città, e persino l’identificazione di nuovi simboli, sono una dimensione fondamentale di un processo capace di discontinuità che ci serve per non farci sfuggire il futuro.Una nuova identità è fatta di processi, di soggetti, di luoghi: di cose e di nomi.Abbiamo urgenza di cose nuove, e di nomi nuovi per cose nuove.
5. Valori, obiettivi … o soggetti? - Porsi oggi la questione di questa doppia discontinuità non è porsi una questione sui “valori”.E’ questo un altro punto fondamentale. Chiedersi come tornare a crescere vuol dire chiedersi se ci sono in questa comunità locale soggetti che hanno la possibilità di divenire fattori di crescita collettiva. La domanda cruciale, allora, suona più o meno così: ci sono nel tessuto locale soggetti capaci di e interessati a quella discontinuità necessaria alla ripresa della crescita?La discontinuità che ci serve non la producono valori, se non incarnati in soggetti, mentre è illusorio elencare obiettivi senza indicare soggetti capaci di conseguirli. La ricerca di questo tipo di soggetti è la strada per comporre l’agenda che vogliamo condividere.Perciò, l’aspetto di questa agenda sarà quello di una lista di “nomi e cognomi”.
Una domanda non indolore per la ChiesaSiamo consapevoli che un approccio alla crescita basato sui soggetti e non sui valori mette in crisi prassi e cultura ecclesiali.La Chiesa diocesana, e le organizzazioni di cui è fatta, sovente non hanno saputo cogliere in profondità, i segni delle difficoltà, le richieste di aiuto, l’urgenza di un pensiero nuovo. Lo dicono gran parte delle ricerche svolte in questi ultimi anni aulla realtà della nostra diocesi. Generosità, dedizione alla carità ed all’impegno contro l’esclusione sociale, ma poca attenzione ai processi economici, derive cultualistiche, poca confidenza con l’idea che la competizione è uno strumento per produrre bene comune.
Una domanda non indolore per tutti i gruppi dirigenti Più in generale, un approccio basato sui soggetti mette in difficoltà i comportamenti prevalenti tra tutti i gruppi dirigenti.Il comportamento innovatore, per definizione comportamento deviante, soffre del troppo consenso. Il consenso da cui spesso siamo ossessionati è una risorsa costruttiva solo se è il frutto di una competizione. La coesione diviene con facilità mero controllo se non è innervata da quella fiducia reciproca che si esprime nel confronto e nella competizione tenace e leale.Non c’è vera ‘coesione sociale’ se non c’è fiducia. Non c’è coesione sociale dove c’è scarsa cooperazione non interessata, scarsa disponibilità al dono, scarsa densità associativa. Ad esempio – come da sondaggio –, anche a Terni la fiducia dei cittadini per i partiti politici in una scala da 1 a 10 supera a stento la il valore 4. La fiducia è un perno del cosiddetto ‘capitale sociale’ ed una recente importante ricerca sociologica nazionale ci dice che Terni è al 47° posto (tra le ultime aree del centro-nord) nella graduatoria nazionale della dotazione di capitale sociale. La dotazione di capitale sociale di Perugia è doppia rispetto a Terni, e – sempre rispetto a Terni –quella di Lucca è cinque volte, sei quella di Mantova, sette quella di Parma. Ciò nonostante, in questi anni non sono neppure mancati idee e progetti, anche fortemente innovatori. Imprenditori, segmenti di gruppi dirigenti, alcuni intellettuali ed alcuni artisti, associazioni culturali, organizzazioni religiose, hanno tentato, e tentano, la strada del cambiamento. Una parte del cammino è stato già percorso, non dobbiamo dimenticarlo. Se questa comunità fosse blindata e soddisfatta non saremmo oggi qui. L’invito della Chiesa diocesana ha solo catalizzato processi, già avviati, magari con timidezza.Ma, evidentemente, ancora non basta.
6. Una fase costituente - Non dobbiamo avere timore di riconoscere il valore più profondo di quanto avviene se insieme e pubblicamente assumiamo la responsabilità di guardare a cose nuove in modo nuovo.Guardare con franchezza alle difficoltà della nostra comunità locale e interrogarsi sulla ripresa e sulla crescita, come abbiamo detto, significa porsi il problema delle istituzioni che danno forma alla nostra città. Non solo di quelle che hanno uno statuto ed un palazzo, ma anche delle altre che vivono – come le prime del resto – nei comportamenti individuali e dei gruppi. Porsi il problema della possibilità di una ripresa per la nostra comunità locale è porsi un problema di poteri e di relazioni. È porsi un problema costituente. È darsi, tutti insieme, un obiettivo costituente.
L’appello dei soggettiCome detto, l’interrogativo che genera l’agenda di cui abbiamo bisogno chiede se ci sono tra noi soggetti capaci di e interessati a quella discontinuità che è necessaria alla ripresa della crescita.Realisticamente, a questa domanda si può dare una risposta affermativa.È ora di fare un esempio.
Un soggetto capace di futuroLa Thyssen Krupp-Acciai Speciali Terni è un soggetto capace di crescita. Una condizione per affrontare con successo la sfida della rigenerazione della nostra comunità locale è intensificare il legame tra TK-AST e Terni.La TK-AST non è più la vecchia acciaieria delle Partecipazioni Statali, ma è oggi luogo di innovazione e di qualità, con ampi anche se non garantiti margini di crescita. La siderurgia non è più, da tempo, la cassaforte della struttura occupazionale della città e del territorio. E’ invece sempre di più un centro di eccellenza nei processi, nella ricerca, nella cultura imprenditoriale, nello sviluppo di mercato. TK-AST dispone di un capitale umano qualificato, rinnovato e flessibile, e di risorse manageriali consolidate.Puntare su questo soggetto, non per deferenza ma per schietto interesse, significa impegnarsi tutti, ciascuno a modo proprio, per consentire che Terni si affermi definitivamente come centro di eccellenza nella produzione degli acciai speciali e del loro utilizzo. Occorrono scelte coraggiose. La questione energia è l’esempio migliore per capire cosa implica puntare su questo soggetto.Il rapporto tra TK-AST e il territorio è cruciale anche perché genera stimoli competitivi per lo sviluppo di professionalità e di reti locali di fornitura di beni e servizi. TK-AST significa sviluppo e consolidamento di processi di ricerca, di relazioni con l’Università e con l’intero sistema locale dell’istruzione e della formazione.Non dobbiamo mai dimenticare come in questi settori industriali nulla va dato per scontato o acquisito per sempre. La razionalità economica delle scelte di una multinazionale è costantemente soggetta alla comparazione internazionale. Contano i vantaggi competitivi offerti dai singoli territori.Questi vantaggi dobbiamo mantenere, coltivare e sviluppare per non perdere la TK-AST. Ora la abbiamo, pochi la hanno, potrebbe sfuggirci, dobbiamo mantenerla e farla crescere per crescere insieme.
7. Priorità per una agenda - Ecco, a nostro giudizio, questo è il primo elemento di una agenda di priorità. Discutibile, naturalmente, ma è un buon esempio di ciò che deve comporre una realistica agenda per la ripresa, oggi. Una agenda di priorità per la crescita è fatta di punti come questo. Dobbiamo essere realisti ed evitare un rischio molto forte: fare di questa agenda di priorità un fragile serbatoio di idee per una prospettiva volontaristica. Sappiamo che lo sviluppo locale non dipende solo da fattori locali. Nelle nostre mani è però certamente una parte del nostro futuro. Dobbiamo conoscere quali sono le carte che abbiamo in mano e decidere come giocarle.Allo stesso tempo, dobbiamo saper distinguere l’agenda dai programmi. Una agenda non è un programma. Ma se condividiamo una agenda possiamo discutere meglio di programmi alternativi. Se una comunità condivide una agenda gli attori pubblici sono incentivati, quasi obbligati, a produrre programmi. Se c’è una agenda condivisa, i cittadini – gli unici titolati a farlo – scelgono meglio, volta per volta come consumatori o come lettori, come fedeli o come elettori.
Un’agenda che scompagina È già solo per questo motivo che la definizione di una agenda pubblica di priorità produce una crisi negli equilibri consolidati, nei gruppi dirigenti locali e tra i gruppi dirigenti locali.Una agenda condivisa è una condizione per attivare dinamiche di competizione e di ricambio dentro e tra i gruppi dirigenti di ogni genere, politici ed economici, giornalistici ed universitari, perfino ecclesiali. Una agenda condivisa può servire anche ad attivare un indispensabile ricambio, non necessariamente anagrafico ma certamente generazionale. Le sfide sono nuove. Occorrono nuove generazioni.Solo se competono, i gruppi dirigenti locali divengono più autonomi, nei confronti degli altri gruppi dirigenti locali e nei confronti dell’esterno. In politica, ad esempio, il ricambio dei gruppi dirigenti locali è spesso frenato dalla ancora debole personalizzazione istituzionale delle posizioni di governo locali. Essa è una risorsa per l’innovazione. La personalizzazione e l’apertura nella competizione per la leadership nei partiti politici sono fondamentali fattori di ricambio. Il peso degli apparati burocratici e, più recentemente, l’eredità delle burocrazie di partito sopravvissute (insediatesi in nicchie di pubblica amministrazione locali o sommatoria di relazioni particolaristiche) riducono – viceversa – il potenziale di cambiamento, e rendono vischiosi e inconcludenti i processi di decisione. Nessun ricambio efficace dei gruppi dirigenti passa invece per la frammentazione localistica e personalistica dell’offerta politica.
Che scompagina anche il movimento cattolico Non saremmo però onesti se tacessimo che lo stesso movimento cattolico e le stesse esperienze di cattolicesimo politico locale non sempre sono state all’altezza di queste esigenze.Chi ha “fatto politica” non è stato sempre attento all’efficacia collettiva della sua azione.Chi “ha fatto” e chi “non ha fatto politica” è stato spesso tiepido verso il valore della competizione. Spesso è mancato un adeguato impegno educativo ad essere esigenti verso chi assume pubbliche responsabilità. Sovente si è finiti in un depistante appello ai valori. Nella vita pubblica, i valori non sono presenti attraverso il suono dei loro nomi, ma attraverso l’impatto che hanno sulle decisioni.Alla fine della esperienza della Democrazia Cristiana, legata ad un tempo politico per cui non c’è ragione di avere nostalgia, non sono seguiti significativi e generali miglioramenti nella efficacia dell’agire politico dei cattolici nel nostro territorio. Nel movimento cattolico locale non sono mancate né mancano significative esperienze di analisi e di iniziativa sociale e politica, ma in generale non possiamo neppure dire che la “società civile cattolica” sia stata di molto migliore dei “politici cattolici”. L’invito di questo convegno è così anche invito all’inizio di un’opera di rinnovamento del movimento cattolico e dell’impegno dei cattolici in ogni settore sociale. Ed è anche invito a superare la latitanza del “laicato cattolico” dalle responsabilità pubbliche. Non è il clero a dover rappresentare la Chiesa ed i cattolici in politica, ma semmai il “laicato” a doverne interpretare le ragioni. Né per i cattolici e per la Chiesa il contenuto politico primario è costituito dagli interessi ecclesiastici, ma dal bene possibile per la città. Neppure per il movimento cattolico locale, dunque, è un compito indolore prender parte ad una responsabilità comune per il futuro della città.
Prendere e lasciare: tre domandeCiò di cui siamo in cerca, una agenda per la crescita, deve saper indicare punti di forza, soggetti capaci di crescere ancora e di attivare un’area più vasta del tessuto cittadino, e blocchi e vincoli di cui liberarsi. Deve essere una agenda che somiglia alla bisaccia di chi sa rimettersi in cammino: leggera, con l’essenziale, la bisaccia di chi sa prendere ciò che vale e lasciare ciò che impedisce.Una agenda per la crescita deve saper rispondere ad almeno tre domande.Ci sono soggetti capaci di far crescere la produzione e l’offerta di beni e di servizi?C’è modo di fronteggiare il declino demografico della città e dell’area?Possiamo disattivare le regole consensualistiche che rendono sterili molti “tavoli” locali?
Rispondendo a questi interrogativi abbiamo individuato cinque “cose” da prendere e cinque “cose” da lasciare.
8. Soggetti capaci di crescita - Prendere / 1: la TK-ASTL’abbiamo già detto. TK-AST è il nodo primario di un sistema produttivo locale che va difeso e va reso più ricco e complesso. L’TK-AST va fatta crescere come motore di un sistema più vasto, che c’è, ma deve diventare più intenso e più capace di valore aggiunto. Pensiamo alla siderurgia, alla chimica, al tessuto delle piccole imprese, alla relazione tra impresa e università e all’industria culturale. I soggetti ci sono. Alcuni sono forti, altri vanno aiutati a crescere.Il sistema ternano-narnese della chimica – che vede esso stesso una presenza importante e positiva di multinazionali – ha continuato ad investire nell’impiantistica. Dal punto di vista ambientale la situazione di questo settore è significativamente meno compromessa del resto della realtà nazionale. C’è un capitale umano ricco. Si possono sviluppare sinergie con altre realtà nazionali e con altre filiere produttive.Ma le grandi imprese industriali, seppure protagoniste di primo piano in qualsiasi scenario di crescita della nostra area, non costituiscono, da sole, un sistema economico. Questo, per strutturarsi, ha bisogno di un folto numero di piccole e medie imprese distribuite in un ampio spettro di settori e di professionalità. Gli spazi dell’integrazione tra imprese, grandi e medio-piccole, industriali e terziarie, sono ancora oggi in larga parte da esplorare nella nostra economia, al di là delle semplici e consolidate relazioni di fornitura di servizi a basso valore aggiunto. Abbiamo un ricco serbatoio: 200 PMI nel settore meccanico; 50 PMI in quello chimico. Da questo punto di vista c’è bisogno che gli imprenditori ternani rendano sempre più matura, anche nelle varie forme associative, la consapevolezza di questo loro ruolo insostituibile, senza il quale non può esserci crescita duratura e sostenibile ma solo suoi deboli palliativi.L’Università è uno degli ingredienti fondamentali per la ripresa della crescita. Ma l’università che serve al nostro sviluppo non è quella di un’offerta didattica purchessia. L’università serve se inserisce nel sistema ed anche nel sistema produttivo la sua capacità di ricerca, e fa scambio con gli altri attori in un quadro di rapporti privato-privato e non pubblico-privato. Gli imprenditori a volte pensano che l’innovazione si possa gestire all’interno mentre la sua complessità richiede un attore specialistico e flessibile. Noi tutti però dobbiamo chiederci seriamente cosa impedisce all’università che sta a Terni di aspirare ad una maggiore autonomia ed ad una maggiore capacità di ricerca?E infine l’industria culturale, via privilegiata alla rigenerazione e alla reinvenzione delle vecchie città industriali. Lo vogliamo sottolineare: la cultura non è solo un bene di consumo. È un settore produttivo. In questo quadro la cultura stessa deve diventare fattore di sviluppo economico ed industriale, perché lo può. Certo, anche a questo proposito dobbiamo farci qualche domanda. Cosa ha impedito al CMM spa di essere un’azienda di successo? L’idea di business? L’assetto azionario? La qualità del management selezionato dall’azionista? L’ingerenza della politica? Si ha la netta sensazione che la vicenda del CMM spa rappresenti una specie di manuale di cose da non fare.
Prendere / 2: L’azienda ospedalieraUn secondo grande soggetto capace di crescita presente sul nostro territorio è l’Azienda ospedaliera. E che un’importante Azienda ospedaliera sia da considerare un fattore di sviluppo locale è ormai un dato accertato. Questa convinzione poggia almeno su tre considerazioni. Il contributo che l’azienda offre alla cultura tecnologica e scientifica della comunità di cui fa parte; le sue dimensioni occupazionali; il contributo che può dare alla crescita dei processi immateriali dello sviluppo locale.Il sistema sanitario locale è un fattore di sviluppo e non solo un fattore di promozione sociale. L’Azienda ospedaliera può, e dunque dovrebbe, crescere ancora. Certo, deve abbandonare una cultura aziendale poco propensa a sperimentarsi su modelli realmente innovativi. Deve godere di una stabilità del management che competa con la forza delle inevitabili inerzie burocratico-amministrative. Deve poter valorizzare le eccellenze, anche in competizione virtuosa con il mondo universitario.Infine, l’Azienda ospedaliera deve essere liberata dall’invadenza della mano politica regionale che la indebolisce rispetto alle aziende concorrenti.
Prendere / 3: la “macchina” della amministrazione comunaleUn terzo grande soggetto dotato di enormi potenzialità è quello delle nostre amministrazioni comunali. Sono ricche di risorse umane, hanno competenze strategiche, meritano una gestione più efficiente e più innovativa.Le pubbliche amministrazioni locali non sono al servizio di chi vi trova un lavoro o di chi ne ricopre gli incarichi politici di vertice. Non possono neppure essere ostaggio delle organizzazioni sindacali del pubblico impiego.Le pubbliche amministrazioni locali debbono diventare una delle eccellenze di Terni, di Narni e del nostro territorio. Occorre dunque più efficienza. Questi traguardi non possono essere raggiunti se non accettando cambiamenti radicali e valutando la redditività delle risorse pubbliche investite. Certo, molte sono le questioni da prendere in carico. La prima, la più difficile. La vischiosità del sistema pubblico di relazioni sindacali a Terni. E il conseguente dilagare dei poteri di veto. Perché non pensare ad un livello territoriale di contrattazione nel quale sperimentare l’innovazione con una parte datoriale più forte perché più unita?Ma le amministrazioni locali, quella di Terni in primo luogo, possono liberare un volume, straordinario e strategico di risorse anche privatizzando laddove più conveniente per la collettività. Vi sono aziende pubbliche controllate dalla politica locale che hanno drenato risorse e fatto naufragare opportunità. Del CMM abbiamo parlato. Il caso della Azienda Farmaceutica è all’ordine del giorno. Ci costa un’enormità e non ci consente politiche che i ricavi della sua privatizzazione invece garantirebbero. Ex municipalizzate multifunzione, altrove fattore di crescita e fonte di profitto, qui vivono in condizioni tutt’altro che esaltanti. Le aziende di servizio pubblico debbono invece conseguire risultati di indiscussa qualità. E procedere sulla via della fusione in vista del raggiungimento di standard dimensionali più efficienti.Le “macchine” comunali sono una grande risorsa collettiva, sia per le grandi energie che possono rimettere in circolo sia perché possono diventare centri propulsori della crescita. Lasciare / 1: la irresponsabilità educativaIl nostro territorio ha una grande tradizione, forse un poco appannata, nel campo dell’istruzione e della scuola. Le scuole del nostro territorio godono di un grande capitale di fiducia da parte della città. Lo dicono i dati del nostro sondaggio. Eppure abbiamo la sensazione come di un grande processo di rimozione.Il riflesso locale di processi sociali più ampi si somma alla attenzione non sistematica e convinta delle altre istituzioni sociali del nostro territorio nei confronti della scuola. Sono le famiglie stesse ad essere prese in una spirale perversa che le rende poco esigenti nei confronti della offerta di istruzione.Occorre uno sforzo corale. Ciascuno deve fare la sua parte. Gli attori locali hanno uno spazio di manovra considerevole, al di là dello strapotere ministeriale o della negativa eredità del “sessantotto” ancora viva in settori del corpo docente.Le scuole debbono usare sino in fondo la loro autonomia. La città deve usare sino in fondo tutte le risorse finanziarie di cui dispone o, come abbiamo appena visto, di cui potrebbe disporre per sostenere questa autonomia, per rendere la competizione generata dall’autonomia una competizione virtuosa e non una deteriore forma di dumping scolastico. A ciò può servire anche l’aumento del numero e del tipo degli attori della offerta scolastica e formativa, a patto che sia di qualità.Scuole di qualità rendono la città attrattiva, influenzano le scelte residenziali delle famiglie, costruiscono capitale sociale, alimentano un tessuto istituzionale favorevole alla promozione della creatività, producono integrazioni e contrasto all’esclusione sociale.Esattamente ciò di cui Terni e il nostro territorio hanno bisogno.Sin qui avevamo indicato tre “cose” meritevoli di essere conservate. Una diffusa non adeguata attenzione pubblica nei confronti della istruzione scolastica è al contrario una prima “cosa” di cui liberarci al più presto. La scuola è sempre un servizio pubblico, anche quando non è gestita dallo stato.
Prendere / 4: una diffusa capacità di integrareCon noi dobbiamo portare anche qualcosa, solo in apparenza impalpabile, che è della comunità locale tutta insieme. Qualcosa di straordinario, di cui questa comunità è stata capace negli ultimi 150 anni.Terni è da un secolo città di immigrati: ha accolto ma ha anche saputo integrare. Oggi la sfida è nuova, gli immigrati vengono da più lontano, ma per un certo verso è una sfida fatta degli stessi ingredienti di sempre. Vivere le differenze non come minaccia non significa rinunciare a produrre processi di integrazione e, per quello che risulta indispensabile, anche di assimilazione. In passato Terni ne è stata capace, può esserlo ancora. Le raccolte di firme di questi ultimi mesi sottolineano problemi reali ma non esprimono la cultura e la forza che per 100 anni hanno fatto crescere Terni.Per ora, fortunatamente, la gran parte della opinione pubblica non ha “abboccato” al tranello. La larga maggioranza dei ternani non confonde preoccupazione per la sicurezza e preoccupazione per la immigrazione.Tutta la rete delle relazioni sociali che produce integrazione, questo capitale sociale che “lega”, che unisce, va coltivata e rafforzata.Ma gli studi ci dicono che c’è un gruppo di formidabili politiche per l’integrazione: le politiche della offerta formativa rivolta all’infanzia, elemento che ci collega anche alla priorità precedente. La scuola è veicolo di integrazione e moltiplicatore di opportunità. Alcuni dati ci fanno riflettere. La presenza bambini/e e ragazzi/e con cittadinanza non italiana nelle scuole ternane (8,4% contro il 5,8% in Italia) segnala la scelta di famiglie di immigrati di inserirsi stabilmente nel nostro territorio, di far nascere e far crescere qui i loro figli/e. Questa realtà rappresenta nei fatti una inattesa e fortissima dichiarazione di fiducia e un’altrettanto inattesa e fortissima domanda di ospitalità e di futuro. A Terni le scuole per l’infanzia e quella primaria manifestano forti segnali di segregazione scolastica che riflette la segregazione residenziale e produce ghettizzazione. Nelle scuole per l’infanzia di Terni, ad esempio, la presenza di bambini di cittadinanza non italiana varia, nei diversi circoli, da un minimo del 2% ad un massimo del 28%.Con dati come questi occorre fare i conti. La nostra tradizionale capacità di benevolenza e di accoglienza deve essere rafforzata da servizi e strumenti idonei, soprattutto ai bambini/e e ragazzi/e. Un’istruzione elevata e di buona qualità, offerta oggi migliora la popolazione di domani, aumenta la sua consapevolezza, riduce i comportamenti devianti e irresponsabili, ne migliora lo stato di salute, riduce le spese assistenziali, migliora la capacità di accedere ai servizi.… ma intanto dobbiamo dire grazie alla stragrande maggioranza di queste nuove amiche e di questi nuovi amici che, come le generazioni di ternani che ci hanno preceduto, vengono da lontano e ci portano un po’ di futuro.
9. Fronteggiare la questione demografica - Lasciare / 2: la disattenzione ai processi demograficiIl bilancio demografico aggregato dei comuni della diocesi di Terni Narni Amelia negli anni 2002-05 mostra un costante saldo naturale negativo. Un saldo compensato da un più ampio saldo migratorio positivo, tale da determinare un aumento della popolazione. Il saldo migratorio ha una provenienza prevalentemente dall’estero. Anche questi fenomeni già sottolineati in sede di Conferenza economica cittadine (2006).L’immigrazione si è affermata quindi come un fenomeno strutturale di questi anni anche nel nostro territorio. Al momento, ferma il declino demografico ma non riequilibra la struttura demografica per età della popolazione. Per far fronte a questo genere di difficoltà dobbiamo percorrere anche altre strade, per quanto da sole ma risolutive. Dobbiamo liberarci dalla disattenzione pubblica per i processi demografici: anche in questo l’opinione pubblica ternana sembra più lucida dei gruppi dirigenti.Oltre al sostegno di politiche e comportamenti di integrazione della immigrazione straniera, possiamo sondare almeno due altre possibilità. Per un verso, Terni e tutta l’area locale, per le sue dimensioni, per le sue qualità ambientali, per i suoi collegamenti, per i suoi servizi, può offrirsi come approdo al movimento di rilocalizzazione delle famiglie per varie ragioni in uscita tanto dalle aree metropolitane quanto da quelle marginali e neomarginali. Per altro verso occorre sbarazzarsi della coltre di silenzio pubblico sulle difficoltà delle famiglie locali evidenziate da livelli di natalità assai bassi, certamente non imputabili a una spiccata presenza femminile nel mercato del lavoro che, come è noto, rimane anzi al di sotto di quella che si registra a Perugia o in molte altre aree del paese.
10. Disattivare le prassi consensualistiche - Lasciare / 3: vecchi “stili di regia”Tra le cose che non dovremmo portare con noi ci sono i modelli di comportamento consensualistico che strutturano alcune importanti sedi del tessuto cittadino. A Terni ci sono sedi che in altre aree italiane, anche medio-piccole, fungono da laboratori strategici o per lo meno da sedi in cui i gruppi dirigenti si sfidano pubblicamente e secondo regole. Ma, a Terni, in queste sedi prevale la ricerca della mediazione ad ogni costo, verso l’interno e verso l’esterno. Per questa via diminuisce o si spegne l’apporto strategico alla comunità locale.Non possiamo accontentarci di istituzioni che funzionano al di sotto del loro potenziale. Ciò di cui abbiamo bisogno è valorizzarle, liberale, restituirle alla propria vocazione strategica. Pensiamo alla Fondazione CARIT ed alle sue politiche di impiego delle risorse. La tendenza a disperdersi in mille piccoli interventi forse fa consenso e coesione, ma non fa azione strategica. Una realtà come la Fodazione CARIT, come già simili fondazioni in tante altre parti d’Italia, potrebbe competere ben altrimenti per la leadership strategica. Non dimentichiamo, per dare una misura, che il budget annuale di Fondazione CARIT è 3 volte superiore al budget annuale dei trasferimenti del Comune di Terni nel campo della cultura.Pensiamo alla Camera di Commercio Industria ed Artigianato. Si tratta di un potenziale straordinario di saperi e di interessi, se messo in relazione alle dimensioni della nostra area. Per il grande pubblico esso non appare come potere autonomo rispetto alle altre istituzioni locali. Al contrario, potrebbe e dovrebbe esserlo, dovrebbe funzionare da arena in cui con lealtà e trasparenza si sfidano diversi soggetti, diverse alleanze di interessi per diverse opzioni strategiche. Prima che a chi dirige la istituzione, è ai soggetti presenti al suo interno che va chiesto di più, più strategia e più agonismo.Insomma, per liberare le capacità strategiche dei gruppi dirigenti serve liberare istituzioni come queste.
Lasciare / 4: vecchi sistemi di orientamento territorialeTroppo piccoli per contare e troppo soli per competere. Terni, Narni e tutto il nostro territorio hanno bisogno di fare sistema con alcuni dei territori contigui. Con lucidità e spregiudicatezza.Vale la pena di abbandonare per sempre i vecchi miti. Da quello della piccola dimensione come culla del buon vivere a quello della “città regione”, mito dirigista e centralista. Occorre liberarsi degli accordi imposti gerarchicamente e procedere ad un rimescolamento dal basso. Occorre “contrattualizzare” le relazioni tra i territori anziché sottoporle alle regole della “gerarchia”.Occorre prendere sul serio la questione della relazione con l’area metropolitana di Roma. L’opinione pubblica ternana l’ha capito meglio dei ceti dirigenti. La metà dei ternani pensa che la relazione con Roma sia decisiva per il futuro di Terni. C’è un grande futuro per le città di media dimensione che riescono ad entrare in relazione con grandi aree metropolitane territorialmente contigue, purché godano di connessioni infrastrutturali efficienti. Un collegamento ferroviario decente ed efficiente con Roma può essere per la nostra comunità locale un fattore fondamentale di sviluppo economico, culturale e demografico. In questa direzione c’è futuro, ma patto che la relazione con l’area metropolitana sia vissuta, in un certo senso, come competizione.Un discorso analogo andrebbe fatto infine sulla opportunità di provare almeno ad agganciare la direttrice adriatica di sviluppo, la principale corrente dinamica a sud della via Emilia, a noi così vicina, da noi così ignorata. Al di là dei poli romano e fiorentino, c’è un’area vasta dell’Italia Centrale che ha interessi comuni e che attende di essere catalizzata, non per chiudersi ma per uscire insieme dall’angolo. Chi si muove per primo ha una maggiore possibilità di guidare il processo. In questo, Perugia appare frenata da illusioni di primato dalle quali noi siamo liberi.
Lasciare / 5: la debole capacità di sfidare la leadership peruginaMa non basta ancora. Occorre un altro atto di chiarezza.Una ripresa della crescita di Terni e della nostra comunità locale mette in discussione il primato dei gruppi dirigenti perugini. Non conviene far finta di non saperlo: né a noi, né a loro.Nessuno scandalo: le risorse in palio sono scarse e dunque contese. Nessuna ipocrisia: nell’arena regionale una Terni più forte, insieme a Narni e al nostro territorio nel suo complesso, creano non poca ansia. Le vicende dell’università, della ricerca, delle politiche per la cultura, della sanità lo dimostrano ampiamente.I dati fanno pensare e dovrebbero far scegliere. I trentotto anni di Regione sono stati per Terni anni di arretramento relativo rispetto a Perugia. E anche i gruppi dirigenti ternani (politici e non solo) oggi sono meno forti rispetto a quelli perugini di quanto non lo fossero allora.Il nodo è chiaro. Una Regione fatta per province avvantaggerà sempre Perugia. Una Regione fatta per città, ad esempio, può mettere le cose in modo molto, molto diverso, a cominciare dalla logica della nuova legge elettorale regionale, di cui bisognerà prima o poi discutere, a cominciare dalle regole di organizzazione interne ai partiti (di centro-destra e di centro-sinistra), le quali – dopo aver assistito alla sfida vera tra Barack Obama e Hillary Clinton – appaiono davvero ferme all’ “età della pietra”. Terni non ha alcun interesse a mettere in discussione la Regione. Anzi, per una realtà così piccola come l’Umbria, la Regione è un immeritato vantaggio regalato dal passato. Terni non ha alcun diritto a biasimare il comportamento dei gruppi dirigenti perugini. Ma proprio per questo ha il diritto di sondare la strada di possibili alleanze con tutte le altre comunità locali umbre per una rinegoziazione dei rapporti di forza istituzionali, nella politica e altrove.
Prendere / 5: una comunità più grande (che già c’è)La nostra comunità locale deve crescere. Deve tornare a crescere in ogni senso, anche per avere più peso sui tavoli negoziali esterni. Ma se non pigliamo sul serio noi per primi questa esigenza, perché dovrebbero farlo altri?Terni, Narni e gli altri comuni della “conca” sono il centro di quello che l’Istat chiama un “sistema locale del lavoro” comprensivo di 18 comuni (in due regioni e tre province), in cui risiedono circa 185.000 persone, quasi il doppio dei 109.000 ternani. Questo sistema è dunque qualcosa di ben più “reale” dei nostri a volte un po’ comici confini amministrativi.I cinque comuni della “conca ternana” sono uniti nella realtà socio-economica, ma anche storica, culturale ed ambientale, ed a volte artificialmente separati da disfunzionali confini amministrativi che fanno sprecare opportunità. I loro 140.000 abitanti corrisponderebbero oggi virtualmente al 28° comune italiano per popolazione, mentre da sola Terni è al 40° posto. Insieme arrivano all’86% della popolazione di Perugia (Terni da sola è al 68%).Se – rimanendo ben dentro i confini dello stesso SLL – a questi cinque comuni aggiungiamo la primissima cerchia di comuni limitrofi, si arriva alla soglia di 158.000 abitanti: il 98% di quelli di Perugia, un valore che virtualmente occuperebbe il 25° posto nella graduatoria dei comuni italiani, ed il 6° tra quelli dell’Italia Centrale.Attenzione: il punto non è quale realtà dare al sogno di una Terni “più grande”, ma quale rappresentazione istituzionale dare a questa realtà sociale, culturale ed economica. Neppure Terni basta a Terni.L’incremento della massa critica della città è un potente fattore di sviluppo. Pensiamo ad un’unica grande area nella quale sperimentare l’efficacia della cooperazione tra tutte le istituzioni sociali, a partire da quelle che fanno capo ai governi locali, utilizzando con creatività gli strumenti giuridici esistenti. Come dire: a legislazione invariata. E’ una proposta nuova, contrattuale, dal basso, in alternativa alle forme dirigiste della pianificazione gerarchica, a qualsiasi livello si manifestino.Un primo obiettivo: definire un piano strategico di area, a partire da una ottimizzazione della risorsa territoriale. Un primo passo: la sottoscrizione di un patto di consultazione di area.Un primo tema: nello sviluppo di una “più grande” area territoriale, il suo aspetto e la sua forma fisica non sono questioni secondarie. Il paesaggio è uno degli elementi su cui si fonda e si riconosce l’identità di una comunità. Per poter crescere mantenendo ciascuno la riconoscibilità della propria specificità ambientale è necessario modificare le politiche di sviluppo territoriale nella prospettiva della sostenibilità.Naturalmente si potrebbe andare ancora oltre … Può sembrare un sogno. In molte aree del paese e dell’Europa è una realtà di successo.L’incerto futuro della istituzione provinciale e la necessità di sfidare la leadership perugina conferiscono a questa idea ulteriore valore.
11. Una agenda possibile, una agenda “corta” - È il momento di tracciare una linea e tirare una somma.Per un verso abbiamo scovato cinque “cose” da portare con noi: cinque soggetti capaci di sviluppo.· Il patrimonio industriale della città, a partire dal nodo che ne garantisce un nesso forte con i servizi avanzati, la ricerca, l’Università, l’industria culturale. · L’Azienda ospedaliera.· Una “macchina” comunale da valorizzare semplificandola, riducendola, sofisticandola.· La capacità di integrare della nostra comunità, da sostenere innanzitutto con una coerente offerta scolastica di primissimo livello.· Il potenziale sistemico ed aggregante di una più grande comunità locale. Per altro verso abbiamo messo a fuoco cinque “cose” da abbandonare, di cui liberarci perché ci ingessano.· Lo scarso impegno della città per il sistema dell’istruzione. · La diffusa disattenzione per lo stato delle dinamiche demografiche.· Le regole consensualistiche che immobilizzano alcune delle arene cittadine.· La sottovalutazione delle reti territoriali.· La scarsa capacità di sfidare la leadership perugina.
«Tutto qui?» ci si potrebbe chiedere.Sì, tutto qui.Volevamo una agenda realistica. L’effetto di incompletezza che questa lista può dare è un buon effetto.
12. Conclusioni - La nostra comunità locale ha ancora modi e risorse per lavorare al proprio futuro. Per fornire più opportunità alle persone, per aumentare i beni collettivi, per attrarre talenti.Si tratta, lo sappiamo tutti, di un lavoro che ha un costo alto, richiede l’impegno di molte persone, un impegno civico che ha un evidente aspetto di diseconomia: produce beni di cui si avvale anche chi non si è impegnato per produrli.Le ideologie, le illusioni di «magnifiche sorti e progressive», hanno a lungo truccato i conti della partecipazione civica. Ora siamo tornati a poter guardare con lucidità alla diseconomia individuale dell’impegno civico.Quanto vale, quanto merita «l’onesto e retto conversar cittadino, e giustizia e pietade»?A questa domanda, propriamente etica, sono ammesse solo risposte personali. Essa sì non può essere materia di responsabilità comune. Non possiamo conoscere mai la risposta altrui, e meno che mai obbligare ad una risposta positiva.Possiamo però riconoscerla, la risposta positiva, quando avviene, magari inattesa ed imprevedibile (cfr. Mt 25).Chi crede in un Altro, riconosce allora di condividere con chi non crede che il trovarsi di fronte ad un altro/a è la sfida decisiva per la vita.Chi crede in un Domani, condivide con chi non ci crede il carattere decisivo dell’oggi.Questo condividere è anche condividere un inter-esse che prende la forma pubblica di città.La cura di un «onesto e retto conversar cittadino» non è un obbligo e non è neppure tutto, ma se siamo appassionati di umanità intanto può bastare.
Luca Diotallevi

Il testo dell'intervento introduttivo di Mons. Paglia al convegno "Una comune responsabilità per il futuro della città"

UNA COMUNE RESPONSABILITA’ PER IL FUTURO DELLA CITTA’
“Il perché di un invito, il valore di un’amicizia”Mons. Vincenzo Paglia Vescovo di Terni-Narni-Amelia

Gentili autorità,carissime amiche, carissimi amici,
molti in queste ultime settimane mi hanno chiesto, anche mostrando una qualche perplessità, come mai fosse venuto in mente al vescovo di prendere una iniziativa come quella che ci ha raccolti qui, oggi. Meditandoci su, ho compreso che il mio compito, stamane, è innanzitutto e forse quasi esclusivamente quello di rispondere con sincerità a questa domanda. Questo interrogativo ci apre la via ad una comprensione più vera di cosa sia la Chiesa e il servizio del vescovo . Il mio invito, che ho fatto a nome della nostra Chiesa, non poteva avvalersi della forza di alcun potere, ma della sola forza dell’amicizia. Non è perciò espressione di alcun sentimento di orgoglio o di superiorità, semmai di umiltà. Soprattutto, questo invito non è accompagnato da alcun progetto – né la Chiesa, né tanto meno il vescovo possono averne uno per la Città – ma solo da un profondo amore che spinge ad una reale responsabilità. Illuminanti sono le parole del grande patriarca ecumenico, Atenagora. Cogliendo la sapienza anche della Chiesa d’Oriente diceva: “Noi uomini di Chiesa non siamo tenuti ad elaborare buone ricette politiche, ma a rammentare ai cristiani le loro responsabilità. Sono responsabili di fronte a Dio per tutti gli uomini. Debbono sapere che la preghiera e l’eucarestia implicano un impegno sociale, che un uomo nutrito dal sangue di Cristo deve impegnarsi… nell’opera di civilizzazione” (Dialoghi, p. 266).
Non con potere, ma per amicizia - Se voi tutti siete qui oggi e vi accingete al grande dono dell’ascolto, innanzitutto, e poi anche della parola, è perché liberamente avete scelto di farlo. Il merito di questa giornata che ci donate è tutto vostro. Non siete qui perché avete obbedito ad un comando che il vescovo non poteva comunque rivolgere, ma perché avete intuito l’urgenza di un tale appuntamento. La vostra generosa, vivace e attenta partecipazione fa emergere una di quelle preziose energie di bene e d’amore di cui è fatto il tessuto sociale della città e di tutto il nostro territorio e che spesso non sappiamo cogliere. E’ un evento che mostra quanto sia viva questa città. Sono rimasto non poco sorpreso dell’alto numero degli interventi, anche se non tutti dello stesso tono e di uguale valore, che nei giorni passati si sono susseguiti sulla stampa con un ritmo del tutto inatteso. E questo indica già da sé l’urgenza di uno spazio di libertà come questo. In ogni caso, il vostro esser qui è un atto di quella amicizia civile – quella fiducia reciproca che è già da sempre in opera quanto si istituisce e si vive una polis –, amicizia civile che è interpretazione non ultima, né minima, di quell’amore che è prima ed ultima chiave della vita e del futuro. La Chiesa diocesana, ed io per essa, vi ho invitati per amicizia, e voi per amicizia siete qui. Grazie di cuore, credo, a nome di tutti!Noi tutti vediamo, in ciò che di bello e di buono ci circonda, una abbondanza di opportunità a disposizione di tutti. Dal canto suo, chi crede nel Signore Gesù si sente comandare dalla parola del Vangelo: «andate dunque agli incroci delle strade e chiamate al banchetto di nozze chiunque troverete» (Mt 22, 9). La Chiesa non può neppure lontanamente ambire a provvedere da sola tutti i beni materiali, culturali e spirituali che allietano quel banchetto, e neppure tutte le energie che servono per proteggerlo e mantenerlo aperto a tutti. Essa vi contribuisce con tutto quel che ha, sperando che sia gustato ed apprezzato da tutti, ma il lavoro ed i talenti di ciascuna persona, e di tutte le persone assieme, sono altrettanto indispensabili. Ecco, la Chiesa, anche nei momenti più difficili, ha il dovere di tenere aperta la casa, caldo il pane, buono il vino, fresca l’acqua, il minimo essenziale, ed ha il dovere di invitare tutti con passione, affetto, rispetto (cfr. 1Pt 3, 15), chiedendo a ciascuno di portare ciò che ha, ciò che sa, ciò che può. Come di recente hanno ricordato i vescovi statunitensi in una loro lettera pastorale, anche noi dobbiamo chiederci: chi ha un posto alla tavola della vita? Chi può sedere a questa tavola? A chi è consentito di arrivare a questa tavola e chi riesce a non esserne escluso? C’è su questa tavola quanto basta ai bisogni di tutti? Potrebbe esserci qualcosa in più per una vita migliore? È per queste ragioni ed in questa prospettiva che la nostra Chiesa diocesana si interroga sulla città e sulla cittadinanza, mentre non può che rivolgersi a tutti perché a questo dedichiamo almeno alcune delle nostre energie migliori.
“Vivere secondo la Domenica” - È sotto gli occhi di tutti per quale cammino siamo giunti, pian piano, a concepire questo invito. Dopo il Giubileo del 2000, ritrovandoci pienamente nelle scelte della Chiesa universale, abbiamo ritenuto che il cammino della nostra Chiesa diocesana dovesse ripartire dal mistero della Domenica, il cui cuore pulsante è l’Eucarestia. In essa la Chiesa è ri-creata, si ri-conosce, si ri-forma, si ri-orienta, si ri-anima. E di qui, dalla Eucarestia della Domenica, la Chiesa si incammina sulla via dell’amore dentro la storia degli uomini, come ho ricordato nell’ultima lettera pastorale. Siamo incoraggiati in questo senso dalle parole di un antico Padre della Chiesa, Sant’Ignazio di Antiochia, il quale, mentre veniva portato a Roma ove avrebbe testimoniato la sua fede sino all’effusione del sangue, diceva che i cristiani sono coloro che “vivono secondo la Domenica” (iuxta dominicum viventes). E cosa viviamo nella Domenica, noi cristiani, qui a Terni? I dati che abbiamo ci dicono che poco più di ventimila persone (un numero che appare in crescita) ogni Domenica ci raduniamo attorno all’altare del Signore: e qui veniamo ricostruiti come una comunità di fratelli e di sorelle per essere, come scrivono gli Atti degli Apostoli, “un cuor solo e un’anima sola”(At 44,32). E’ il lavoro, lungo e non sempre facile, che l’Eucarestia fa in noi per abbattere le separazioni e le chiusure e allargare il cuore e la mente. La Messa – scriveva san Tommaso – è la “fabbrica” (o, se volete, lo “stabilimento”) ove veniamo edificati appunto in comunità, in un solo corpo. Ed è per questo che diveniamo segno di una comunità più grande fondata nel Battesimo, che condividiamo con tantissimi, e nell’umanità che condividiamo con tutti. Vivere secondo la Domenica significa perciò che i cristiani sono chiamati ad essere lievito di amore e di convivenza, fermento di solidarietà e di pace, energia di misericordia e di amicizia per l’intera Città. Appunto: essere lievito, fermento, energia per la Città. Per questo i cristiani non si costruiscono una loro città. Essi – ce lo ricorda anche un antichissimo testo cristiano, la Lettera a Diogneto - vivono assieme agli altri, parlano la lingua di tutti, si vestono come gli altri, lavorano come gli altri, ma ovunque sono chiamati ad essere lievito di amore. La Chiesa è stata istituita per servire la Città perché divenga anch’essa una communitas. Per questo non possiamo restare chiusi nelle chiese, e tanto meno nelle sacrestie. Il contrario di quel che diceva un uomo politico tedesco, di fede socialista, negli anni Settanta: “Voglio una società che renda superflua la Chiesa”. Al contrario, il cardinale Bagnasco, nella sua prolusione all’ultima assemblea della Conferenza Episcopale, invitava i cristiani ad uscire dalla chiesa e a ridare significato al “sagrato”, a percorrere l’intera piazza antistante, in tutti i suoi angoli. Noi cristiani siamo chiamati a vivere con e per gli altri, a spendere la nostra vita con la nostra città, per la nostra città e per il mondo. E per questa ragione, quel 20% di adulti ternani che di Domenica lavorano ci inquieta e ci interroga: cosa possiamo fare perché donne e uomini siano messi in condizione di non essere sopraffatti dal lavoro e godere, già da ora, innanzitutto nella festa, la pienezza della vita e delle relazioni?
La vita paradossale della Chiesa L’Eucarestia ci sottopone come ad un doppio movimento: uno di abbassamento e l’altro di relativizzazione. La Chiesa nasce dall’alto, da Dio, non da noi. Ed è per questo che – seguendo il suo Signore - è chiamata ad abbassarsi per ritrovarsi sempre a fianco, vicino, mai sopra o in alto, agli uomini. E’ emblematico, in tal senso, il termine stesso “parrocchia”, una parola greca che significa “vicino alle case”. La Chiesa è “vicina”, anzi “amica” delle case degli uomini, dentro i quartieri e nella città. Il Concilio Vaticano II afferma: «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini e delle donne di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (Gaudium et Spes n.1). Sì, la Chiesa, amica della Città, spende la sua vita dentro le sue pieghe. Se non lo facessimo tradiremmo la nostra fede. Un grande teologo contemporaneo, Henri De Lubac, scriveva: “La fede non è un deposito di verità morte, che si mettono rispettosamente ‘da parte’, per organizzare senza di esse tutta la vita… Per conservarsi soprannaturale, la carità non è costretta a farsi disumana: come lo stesso soprannaturale non si concepisce se non si incarna. Colui che si sottomette alla sua legge, lungi dal liberarsi con ciò dai suoi legami naturali, mette al servizio della società di cui la natura l’ha fatto membro, un’attività tanto più efficace, quanto più libero ne è il principio”(Cattolicismo, p.278). E Benedetto XVI, rivolgendosi ai vescovi italiani nel mese di maggio scorso, ha detto: “Quali annunciatori del Vangelo e guide della comunità cattolica, voi siete chiamati anche a partecipare allo scambio di idee nella pubblica arena, per aiutare a modellare atteggiamenti culturali adeguati”. E aggiungeva: “Nel quadro di una laicità sana e ben compresa, occorre pertanto resistere ad ogni tendenza a considerare la religione, e in particolare il cristianesimo, come un fatto soltanto privato: le prospettive che nascono dalla nostra fede possono offrire invece un contributo fondamentale al chiarimento e alla soluzione dei maggiori problemi sociali e morali dell’Italia e dell’Europa di oggi”.Ma la Chiesa non vive questo impegno al fine di gestire la società. Il suo fine è oltre i confini della storia. Per questo la sua vita è paradossale: dentro la città, eppure oltre le sue mura. Mentre infatti si mischia nella vita della città, non si identifica in essa. Lo scrive la Lettera agli Ebrei: “Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura (13,14). La nostra vera patria è nei cieli, tanto che la prima Lettera di Pietro ci dice che siamo “come stranieri e pellegrini”(2,11) nelle nostre città. Se abitassimo la città semplicemente per servire i nostri o, peggio ancora, gli altrui interessi, tradiremmo la fede. Lo comprese bene don Milani nella nota lettera a Pipetta. L’Eucarestia ci incalza con una duplice domanda: noi cristiani, che apparteniamo pienamente a questa Città, ci siamo spesi e ci spendiamo davvero per il suo bene? E ancora: noi che andiamo verso la città futura come viviamo e mostriamo questa alterità alla città degli uomini? Una cosa sappiamo noi cristiani: giungeremo alla città del cielo solo se abiteremo quella della terra, per trasformarla, renderla migliore, più giusta, più umana, meno violenta. La Chiesa non esaurisce perciò il suo servizio nell’orizzonte storico , e tuttavia ogni bene che nella storia può essere sperimentato e goduto, compreso il bene della città, è tutto interno al bene che la Chiesa è chiamata a servire. Di questo bene è parte integrante la libertà umana: «l’essere umano può volgersi al bene soltanto nella libertà» (Gaudium et Spes n.17). L’idea cristiana di solidarietà, infatti, non sopprime il valore delle differenze e del particolare, e si inquadra in un sistema di riferimenti di cui a pari titolo fanno parte responsabilità, sussidiarietà e libertà . La stessa idea, esigentissima, dell’obbligo morale alla ricerca della verità è parte dell’insopprimibile valore della singola coscienza … .
Chiesa e Città, l’una interna all’altra - Questo nostro incontro pertanto non è un convegno sui rapporti tra Chiesa e Città come se si trattasse di due realtà effettivamente perfette, e dunque chiuse l’una all’altra. Tendere alla perfezione da parte della città è stato il tratto distintivo di tutti i progetti ideologici che hanno riempito di sangue il secolo scorso . E la perfezione della Chiesa è tale solo in termini escatologici, essendo essa su questa terra semper reformanda . La Chiesa e la Città non si fronteggiano: sono in intima relazione, quasi “interne” l’una all’altra. La Chiesa è intima alla Città senza però identificarsi con essa. Anche se nella città tutti fossero cristiani, la Chiesa ne rimarrebbe distinta. E’ questo il senso delle parole del Vaticano II quando insegna che la Chiesa è “segno e strumento dell’unità del genere umano”. La Chiesa non può sostituire la Città degli uomini, è però ad essa congeniale. E’ infatti nata nella città sino a prenderne il nome. Il nome delle Chiese è specificato dalla città nella quale vive. Il nostro nome è: “Chiesa che è in Terni, Narni, Amelia”. Ma anche la Città – la storia lo evidenzia – è intimamente connessa alla Chiesa, al di là del numero dei cristiani che la abitano. Infatti, il bene di cui la Chiesa è a servizio contiene il bene di tutti e si spende – spesso anche visibilmente – usque ad consumptionem carnis, perché chiunque nella città possa vivere determinandosi liberamente. La libertà della città non è un limite all’azione della Chiesa ma un dono, anche storicamente accertabile, che il cristianesimo ha fatto all’umano consorzio e che, pur con tutti i limiti e inadempienze, continua a fare. Lo ripeto, non c’è un progetto cristiano sulla città. C’è però la ricerca delle migliori opportunità di cui ciascuno liberamente può avvalersi. E in questo tempo nel quale le città stanno vivendo un difficile momento della loro storia, per i profondi cambiamenti sociali, economici e culturali, la Chiesa deve spendere le sue energie migliori per edificarle sempre più come communitas. Di fronte allo spaesamento che la globalizzazione provoca è urgente impegnarci ad allontanare dalle nostre città chiusure e ripiegamenti per vivere una più robusta identità fatta di radicamento e di apertura al mondo.
La Città pluriforme - La Chiesa è chiamata altresì a svolgere nella Città anche quel compito che potremmo chiamare di “relativizzazione” dei poteri, sia politici che economici, scientifici o tecnici, a volte persino religiosi, perché nessuno di essi pretenda di essere assoluto. L’esserci della Chiesa desacralizza, “laicizza”, ogni potere, destituendolo da ogni pretesa sintetica e riportandolo a strumento di azioni misurabili, valutabili, imputabili. Questo dice l’insegnamento sociale della Chiesa quando asserisce il concetto di sussidiarietà. E questo oggi, in Italia e in Europa, significa criticare ogni pretesa di sovranità assoluta, inclusa quella della politica che si fa Stato. L’ambito della “politica” infatti è ben più vasto di quello dei partiti e richiede l’impegno di tutti i cittadini e di tutte le realtà vitali della città. Per questo va “criticata” ogni chiusura e inamovibilità, ogni irresponsabilità e ogni “investitura” nell’esercizio dei pubblici poteri, politici o di altro ordine, pensati sullo schema ereditario. Del resto la stessa Scrittura, ed in particolare il Nuovo Testamento, ci propongono un’idea di poteri che reciprocamente si controllano e si limitano e lo spazio di questi poteri è per l’appunto la Città. La buona Città terrena è pluriforme non uniforme, poliarchica non monarchica, democratica non autoritaria: è, diremmo oggi, una Città aperta, mai chiusa e, come amava dire don Luigi Sturzo, pervasa da “sano agonismo”. In questa Città nessun ceto e nessuna singola istituzione è addetta o arbitra del bene comune, che deve essere, invece, misura dell’operato di ciascun individuo e di ciascun gruppo. E si badi bene, la Chiesa stessa non può arrogarsi il compito della sintesi. Semmai, possono esserci momenti nei quali, proprio per la sua natura paradossale, la Chiesa può offrire a tutti uno spazio di libertà, come avvenne, ad esempio, a Terni durante i bombardamenti, quando le istituzioni cittadine trovarono nell’episcopio un luogo per il libero confronto e la comune tensione per la difesa e la riedificazione della città.
Non con orgoglio, ma con umiltà - In questo passaggio storico la nostra Chiesa diocesana ha rivolto un invito a tutti per vivere uno spazio di libertà e di confronto comune. In tanti avete risposto. Per me, uomo, cristiano e vescovo, l’ispirazione nasce dalla Messa della Domenica. Lo dico pubblicamente per ricordare a me, prima che a chiunque altro che, con Gesù e come Gesù, la Chiesa pur nascendo dall’alto si manifesta al fianco degli uomini e qui deve restare. Il mio invito nasce solo dall’amicizia per questa città: per essa spendo la mia vita e ad essa non cesso di comunicare il Vangelo, a tempo e fuori tempo, come scrive l’apostolo. E cerco di farlo con quell’umiltà che non è l’umilismo avaro di chi si ritrae per mettere al primo posto la propria tranquillità o i propri interessi. Il Signore Gesù ci sta avanti: Lui che si è fatto più piccolo di noi , che cammina a fianco a noi come ai due di Emmaus , Lui che continua a chiederci da bere , a chiederci di restare in basso, a fianco ed in mezzo agli uomini ed alle donne, ai poveri soprattutto. Ecco perché, per i cristiani “ripartire dagli ultimi”, da quelli che hanno maggior bisogno di aiuto, dai poveri, significa ripartire con il piede giusto per edificare una città dal volto umano.Ponendoci di fronte a questa radicale esigenza di amore e riconoscendoci destinatari di una Amore immeritato, so bene che non potrei fare questo invito senza riconoscere con franchezza che questo gesto di convocazione rende ancora più chiaro a me ed alla nostra Chiesa quante volte come preti e come “laici” cristiani abbiamo mancato, abbiamo tradito la città o abbiamo cercato solo vantaggi esclusivamente particolari e successi anche effimeri. Con questo spirito ho provato a dirvi, tutta la nostra Chiesa ha provato a dirsi ed a dire: proviamo a convergere, a conversare per rinnovare questa città.
Non con un progetto, ma per responsabilità - Dunque, ma ora è più chiaro, a muoverci non è stato un progetto sulla città o la ricerca di alleanze per esso, ma la responsabilità per la città, che c’è sempre, ma che si fa ancora più forte quando ci troviamo in momenti difficili come quello che stiamo vivendo. E a tale proposito riprendo un passaggio dell’omelia per la festa di San Valentino di questo anno. Dicevo: “Oggi Terni, assieme a questa terra, sta vivendo un momento delicato della sua storia; un momento di passaggio, di faticoso travaglio. Tutti siamo consapevoli che il passato non può tornare e che il futuro non è dietro l’angolo; richiede anzi una creatività ben più generosa di quella che mostriamo… Il Signore chiede a tutti, ed anche alla nostra Chiesa diocesana, di parlare, di riflettere, di dibattere, di individuare prospettive, insomma di ricomprendere le responsabilità che abbiamo per la vita della città…. Non siamo rassegnati sulla città, non possiamo lasciarci prendere solo dal lamento sterile di chi poi si ritira comunque a coltivare solo il proprio orto, piccolo o grande che sia. Ciò di cui oggi abbiamo più bisogno a Terni è la speranza… La speranza è già presente nel bagaglio della nostra storia, ma va alimentata…. Terni ha risorse e talenti, ed anche un notevole serbatoio di generosità. E’ anche vero però che la difficile transizione, in corso ormai da decenni, non è ancora sfociata in una soluzione convincente, robusta, giusta e solidale. Viviamo ancora tensioni contraddittorie, perdiamo ancora troppo spesso la speranza in un futuro umanamente e socialmente più ricco e più dinamico. Non possiamo ignorare che Terni, negli ultimi quaranta anni, ha perso terreno in confronto con molte altre realtà del paese. E debbono preoccuparci i segnali di declino nel campo economico, in quello della cultura, delle relazioni sociali.” E aggiungevo: “Le città possono anche morire, pur restando geograficamente in piedi: la storia ce lo mostra. Ma possono anche reinventarsi. C’è bisogno perciò di una passione nuova che ci coinvolga tutti per costruire il futuro della nostra città. E’ un impegno che coinvolge ciascuno di noi in prima persona. Certo, c’è bisogno - e non solo a Terni - di una politica forte e responsabile. E la politica deve rinnovarsi, senza dubbio alcuno. Ma da sola non basta. Il nostro futuro è nelle mani della scuola, delle imprese, dell’università, della ricerca scientifica, delle associazioni, delle famiglie, dei gruppi professionali, delle comunità cristiane oltre che – ovviamente - delle sue istituzioni politiche. Ma tutte queste realtà – ed è un serissimo problema - debbono fare i conti con il bene comune; non debbono accontentarsi della semplice distribuzione di quanto c’è, ma cooperare alla produzione di nuove risorse (economiche, sociali, culturali, spirituali) da mettere a disposizione di tutti.Cari amici, solo se allarghiamo la nostra mente e il nostro cuore avremo un futuro, sia come città che come persone; solo se ci apriamo al nuovo, al non previsto, a ciò che ci viene incontro, solo se operiamo per integrare e assimilare e non per dividere e difendere, possiamo dare corpo ad un futuro più armonioso e più ricco. E’ stato così anche in passato. La Terni industriale ha avuto e dato futuro mediante l’apertura, accogliendo il rischio dell’innovazione, della diversità, della pluralità. Qualche segno di risveglio lo abbiamo vissuto. Penso, ad esempio, alla vicenda delle acciaierie e al cambiamento avvenuto da tre anni a questa parte. E’ vero che i tempi ora sono diversi; ma dobbiamo riscoprire quella stessa generosa disponibilità, e quella stessa lucida creatività. Terni deve tornare ad essere una città che attrae, che integra e che valorizza le persone; che guarda oltre i suoi confini, sia regionali che nazionali”.
Con speranza verso il futuro - Credo sia più chiaro ora il motivo di questo incontro. E ognuno è chiamato a fare la sua parte. Io, non sono né un economista né un amministratore, sono un prete e un vescovo. E cerco di amare questa città sino in fondo. Ed è proprio l’amore che mi spinge a guardare il futuro con speranza senza distogliere gli occhi dalle difficoltà del presente. Infatti, se c’è una cosa che rende ancora più seria la crisi che anche noi, come gran parte d’Italia e d’Europa, stiamo attraversando, questa è la scarsa coscienza che talora se ne ha. E da noi c’è, per di più, anche una scarsa consapevolezza delle trasformazioni che abbiamo vissuto come città. Solo un esempio. Dal sondaggio commissionato dal Consiglio pastorale Diocesano per la preparazione di questo convegno emerge che il 72% dei ternani pensa che il settore industriale assorba ancora la maggioranza degli occupati residenti in città. In verità, è da anni che non è più così. Una piena consapevolezza collettiva nei momenti di passaggio è un ingrediente fondamentale per guidare, tutti insieme, come città, il cambiamento. L’esito non è sempre certo. Lo sappiamo. Le città nascono ed a volte scompaiono. Ma la scomparsa di una città è una cosa seria. Se una città si perde, si perde una cultura, un modo particolare di interpretare la vita, la vita comune, le sue possibilità e la sua bellezza. Con una città che si perde viene meno una possibilità di amicizia civile. Forse alcune città hanno meritato di scomparire, o di diventare meri aggregati residenziali. Ma siamo sicuri che Terni lo meriti? Siamo sicuri che Narni lo meriti? Siamo sicuri che Amelia ed il nostro territorio, più in generale, siano destinati inevitabilmente a diventare marginali, meno ricchi in quanto a risorse, a solidarietà, a capacità, a forza progettuale? Io credo di no. In molti crediamo di no. Terni, non lo dimentichiamo, è nata in larga parte per la scelta che confermava una necessità: quanti pochi ternani, infatti, sono nati a Terni, ma a Terni sono rimasti? Questa città ha valori importanti che si debbono comprendere, a volte anche con disincanto, ma che non continueranno a vivere senza un duro impegno di tanti. Un impegno fecondo di umana maturità e di legittima soddisfazione, un impegno che rivela una dimensione – quella sociale – meritevole anch’essa di essere vissuta. Forse tra le più meritevoli della avventura umana.Credo che Terni, come Narni, come Amelia e tutto il nostro territorio, siano un valore. Ma i valori non sopravvivono senza il nostro lavoro, senza il nostro impegno libero, generoso ed intelligente. Ieri, 13 Giugno, abbiamo ricordato la liberazione di Terni dal Nazifascismo. Quale valore più alto ed universale possiamo immaginare se non quello della libertà. Eppure quel valore si affermò non per la sua indiscutibile evidenza, ma per il generoso sacrificio di alcuni. Si affermò, certo, ma anche attraverso scelte e condotte che in parte anche poco gli si addicevano quando addirittura non lo contraddicevano. Eppure è attraverso passaggi in cui il bene si impasta al male che la storia procede, e ciò non deve deluderci o disimpegnarci, ma spingerci a vigilare su noi stessi sia sul nostro coraggio che sulla nostra responsabilità, la nostra generosità e la nostra paziente tenacia.
Una nuova fase costituente? Dunque la Chiesa partecipa del desiderio di tutti coloro che abitano la Città, desiderio di una Città nella quale si producano più opportunità e più libertà effettive. Tre sono le domande che ho provato a formulare, molto semplici ed insieme decisive. Anzi, per la verità, si tratta di domande che prima di formularle le ho sentite rivolte anche a me. Abbiamo forza e volontà sufficienti per rimetterci in cammino? Abbiamo il coraggio di guardare in faccia il presente e riconoscervi derive negative che potrebbero giungere ad un segno irreversibile? Non mancano esempi, diciamocelo con franchezza di aree urbane segnate da una schiacciante monocultura politica ed economica che hanno imboccato la via di un declino ormai senza alternative. Abbiamo a disposizione la volontà di riprendere un cammino e le concrete opportunità che non rendano velleitaria questa buona volontà? Possiamo allora fare un elenco di elementi del nostro tessuto cittadino (del suo ordito economico, ma anche in quello politico o culturale, e così via) che sono ancora carichi di futuro, che sono riserve di energie, e che dunque vale le pena portare con noi? E possiamo fare un elenco di elementi che invece non sono altro che capolinea di una storia collettiva che è finita? Possiamo indicare i costi che non val più la pena sostenere, i fardelli per cui non val più la pena spendere energie? Un punto mi sta particolarmente a cuore. Ho come la sensazione che talora si sia abusato dell’idea della coesione. La coesione è un concetto che può essere anche ambiguo sino a impedire l’indispensabile creatività. La crescita è fatta di coesione vera, che fa da sfondo a confronti liberi, a competizioni vivaci, anche a conflitti, ad ideazioni critiche ed immaginazioni ardite. Si può dire, e non è un paradosso, che oggi noi non abbiamo bisogno di dosi ulteriori di coesione. Terni, come la gran parte dell’Italia centrale, rischia di perdere troppe opportunità per conservare una coesione fine a se stessa. Di altro abbiamo bisogno, ossia del convergere su di una agenda, su di un limitato, non onnicomprensivo elenco di problemi cruciali, perché a questo più chiaramente e più dinamicamente si relazionino le differenze di valori e di interessi, cosicché più facile risulti la valutazione delle alternative, delle alternative praticabili, s’intende. Quali sono – tra quelli su cui localmente possiamo per davvero intervenire – i nodi più gravi? È condividere una agenda che aumenta le probabilità di una competizione feconda (politica, economica, di idee), come alternativa al conflitto lacerante ed inutile od alla coesione consociativa, soffocante ed altrettanto inutile. Ripeto, per dare il via alla parte certamente più ricca ed attesa della nostra giornata: la Chiesa non saprebbe e non vuole guidare questo cammino di ripresa. Vuole e deve parteciparvi, ed in un momento di grande travaglio come questo, ha cercato e trovato il modo di rivolgere un invito che era atteso, che tanti potevano formulare, e che è semplicemente importante ci sia stato. D’ora in poi, avanti, insieme!Ecco, se dovessi immaginare un concetto per comprendere e comunicare il significato del passaggio di cui la nostra comunità cittadina ha bisogno, e che forse ha a portata di mano, direi che abbiamo bisogno di una nuova fase costituente. Sì, di una nuova grande fase costituente cittadina. Una fase che non è solo politica, né solo economica, né solo culturale. Una fase costituente che non è la prima – pensiamo al cambiamento conosciuto da Terni alla fine del XIX secolo – né sarà l’ultima. Le comunità civili che vivono non si ripetono identiche ma si ricostituiscono ad ogni fase. In qualche modo si reinvetano. Ecco – non lo dico io per primo, per fortuna – se è vero che siamo ad un passaggio d’epoca, se siamo alla fine del secolo dei totalitarismi, di destra e di sinistra, se siamo alla fine dello stato e della politica che pensava a tutto, se è vero che siamo alla fine del secolo socialdemocratico , se è vero che siamo alla fine dell’utopia giacobina e secolare. Di tutto questo, Terni, nel suo piccolo, è stata buon esempio. La nostra comunità ha bisogno di un passaggio costituente di fronte al quale tutti, singoli, istituzioni, organizzazioni, gruppi, siamo in condizioni di parità, senza alcun primato, senza alcuna priorità di rango e di ceto. Forse, i tanti generosi sforzi e le parziali discontinuità che la città ha conosciuto a partire dagli anni ’80 hanno prodotto risultati non soddisfacenti perché non avevano accettato una tale misura del compito che pure avevano intuito. Appunto, un compito costituente.
Per ripartire Che può dirvi in conclusione un prete, un vescovo, oltre che ce la metterà tutta come ciascuno di voi? Un prete può dirvi, senza che questa confessione disturbi o forzi alcuno, che come sacerdote crede, crede fortissimamente, che il suo Dio, il Padre di Gesù, che è nei cuori di tantissimi di noi, e che è – lo credo – vicino in modo discreto a tutti, davvero a tutti, questo Dio, con timore e tremore, ma anche con gioia e per umile esperienza, credo benedice questo sforzo senza guardare ad etichette o formule esteriori, perché in questo sforzo civile c’è un riflesso dell’amore reciproco, che ha messo nel cuore di ciascuno di noi. Cari amici – mi permetto di chiudere prendendo in prestito le parole del patriarca Atenagora, che ho citato all’inizio: “La Chiesa non è una potenza come quelle di questo mondo, non spetta a lei parteggiare per gli uni o per gli altri. Non è né rivoluzionaria né controrivoluzionaria. E’ la Chiesa dell’amore. Sa che a lungo andare solo l’amore può trasformare la vita. E che bisogna incominciare da se stessi, altrimenti la rivoluzione non è altro che un alibi” (Dialoghi, p. 280). E nella Chiesa e nella Città di San Valentino non vogliamo che attecchiscano alibi.Sono certo, cari amici, che il Signore ci aiuterà a portare a compimento questo, come ogni nostro desiderio più vero. Non oltre, ma attraverso questa storia – le sue sofferenze ed i suoi dolori – in cui ha scelto di camminare con noi, di essere nostro amico. Egli, che è all’origine di ogni cosa buona e giusta, è vicino a ciò che facciamo di buono. Egli aiuterà il nostro comune lavoro.

domenica 8 giugno 2008

Iniziativa del Vescovo di Terni: 4 "si" e 2 "ma"

Personalmente ho accolto con grande entusiasmo l’iniziativa di Mons. Paglia con la quale ha richiesto a tutta la Città di Terni uno sforzo in più per immaginare il futuro e condividere una agenda di priorità per uscire dalla crisi. Per questo ho seguito con interesse la catena di interventi “preparatori” che sono apparsi sulla stampa. Leggendo questi contributi piano piano è emerso qualche “ma”, quindi sento la necessità di fare un breve appunto su quanto ho già espresso al riguardo.
Primo "si" – Il fatto che senza false “accortezze” il Vescovo metta in campo la sua riconosciuta autorevolezza per richiamare tutti a pensare al futuro e a dare una disponibilità riguardo a quello che “si può fare insieme” è fortemente positivo.
Secondo "si" – Il fatto che questo abbia stimolato anche un dialogo realmente nuovo tra le forze politiche (vedi interventi di Provantini e Nevi) è fortemente positivo.
Terzo "si" – Il fatto che tradizionalmente la classe dirigente della Città nel suo complesso non abbia mai dimostrato una sufficiente qualità nella politica e nell’amministrazione per governare il cambiamento e che potrebbe essere “costretta” dall’iniziativa del Vescovo a dare disposte adeguate è fortemente positivo.
Quarto "si" – il fatto che per rispondere a tono alla proposta occorre buttarsi dietro le spalle un consolidato provincialismo culturale che, soprattutto negli ultimi anni, sta prepotentemente ritornando dominante, costringe tutti ad affrontare anche questa sfida culturale ed è fortemente positivo.
Primo “ma” – Ma proprio per rispondere a tono occorre evitare che tutto sia messo in discussione “perché nulla cambi”. Non può essere sfuggito ai lettori più attenti degli interventi dei tanti che si sono sentiti chiamati a dare un contributo, che un conto è riconoscere onestamente anche le proprie responsabilità in una crisi generalizzata e un altro conto è trasformare una opportunità di rilancio che il Vescovo offre alla Città in un generalizzato “piagnisteo” in cui si fa bella figura a fare finta di fare autocritica, senza in realtà farla davvero. E’ per questo che precedentemente accoglievo l’invito di Nevi a non polemizzare, ma a condizione che l’analisi non prescindesse dalle responsabilità, che ci sono e vanno messe a fuoco, proprio per fare in modo di realizzare il cambiamento.
Secondo “ma” – Ma non ci possono essere semplificazioni. La proposta del Vescovo ha indubbiamente un valore “politico”, perché non è una "astratta ramanzina" anzi vuole spingere la Città verso la concretezza per verificare il tanto che “si può fare insieme”. La possibilità di realizzare il cambiamento parte si dall’autocritica, investe si il livello morale, ma deve potersi tradurre in risposte in termini di politica e di amministrazione, altrimenti è comunque utile, ma non è in grado, per impostazione e soprattutto per i tempi necessari, di dare subito risposte concrete alle persone. Allora leggere analisi che individuano nella “paura del diverso”, nella “indisponibilità ad accogliere” il problema della Città, non capendo che Terni non è una Città razzista o sorda alle esigenze sociali e che quella “paura” è il sintomo e non la malattia, significa dimostrare una incapacità di analisi e soprattutto una incapacità di dare risposte in termini di politica e di amministrazione ai cittadini, che invece ne hanno urgente bisogno. In altre parole se i Ternani hanno paura è perché la Città non ha saputo con concretezza e buonsenso gestire le trasformazioni sociali, garantendo ai cittadini i livelli minimi indispensabili di sicurezza, di benessere, di efficacia ed efficienza nell’amministrazione e di qualità nella politica. Questo si può risolvere con uno scatto in avanti, ma le “ramanzine” ai cittadini o alla politica che alcuni muoiono dalla voglia di fare (sull'onda di un falso buonismo "alla Prodi", deleterio e ormai anche sorpassato) non sono affatto in sintonia con quanto è necessario fare: non solo non servono, ma rischiano di allargare ancora di più il distacco che c’è tra le istituzioni della Città (e non mi riferisco solo a quelle politiche) e il popolo di Terni. Così facendo l'iniziativa del Vescovo da opportunità rischia di trasformarsi rapidamente in occasione perduta.
Paolo Cianfoni

mercoledì 4 giugno 2008

Sergio Bruschini: Terni ha le energie necessarie per superare la crisi

Terni ha le energie necessarie per superare la crisi. Per tornare a crescere sono indispensabili una grande mobilitazione di tutti e un profondo cambiamento capace di tenere insieme l’economia, la società e la qualità ambientale. Per il rilancio della città non bastano piccoli aggiustamenti: serve un cambio di modello economico e sociale, perché quello esistente non garantisce né sviluppo né risanamento, come dimostra la fallimentare esperienza del governo cittadino.Abbiamo bisogno di interventi radicali e coerenti nel sistema di produzione come nelle politiche ambientali, del territorio e del welfare.
Non possiamo permetterci nessuna politica dei due tempi: prima il risanamento e poi gli interventi per lo sviluppo.I due criteri devono procedere insieme. Così pure la ripresa di rinascita della città non può ottenersi senza profonde innovazioni nel sistema produttivo e senza un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini, in particolare dei gruppi e delle realtà sociali che più hanno sofferto negli ultimi anni.
Occorre imboccare con decisione una "via alta alla competitività ed alla socialità" un po’ una riscoperta dello slogan dei “meriti e dei bisogni” che faccia leva sulla ricerca, sulla diffusione delle conoscenze, sulle risorse dei nostri territori e sulla coesione appunto sociale.
A questo obiettivo devono contribuire tutte le energie dei cittadini, delle parti sociali e delle istituzioni a questo credo si riferisca la scelta giusta del Vescovo.La qualità della nuova economia e di un nuovo modello di città si fonda sul TREPPIEDE conoscenza- innovazione- socialità.La sfida dello sviluppo richiede che si investa di più non solo nella ricerca ma anche nella educazione diffusa dei cittadini.Solo così le grandi potenzialità delle innovazioni scientifiche e tecnologiche possono diventare patrimonio comune e contribuire alla valorizzazione della città.La nuova città appunto la sua nuova dimensione la sua rinascita deve valorizzare tutte le capacità personali e imprenditoriali di cui è ricca .Per questo devono abbattersi gli ostacoli che frenano le capacità e le energie dei cittadini e delle imprese:i pesi eccessivi della burocrazia, ma anche le forme indebite di sussidio alle imprese, le penalizzazioni e la precarietà che limitano le possibilità di lavoro soprattutto di donne ed giovani, ma anche le posizioni di monopolio e le protezioni d cui godono molti settori
Combattere le rendite e le protezioni indebite aprendo a una concorrenza ed ad una sana competizione innovativa a tutto ciò non si puo dimenticare che l’ambiente e il territorio non sono solo “condizioni di compatibilità” per la crescita economica: sono fattori di sviluppo.
E questo vale in modo particolare per Terni, che ha un giacimento di risorse ambientali e territoriali di straordinario valore ma di degrado avanzato.
Noi crediamo che il rilancio economico del nostro paese è legato alla capacità di valorizzare le grandi qualità culturali e ambientali dei territori limitrofi, di sostenere le loro vocazioni produttive espresse in tanti aspetti del sapere della cultura della storia, innestandovi le innovazioni necessarie per farle crescere sviluppare innovare . Il successo delle nostre scelte economiche si misurerà dalla capacità di perseguire congiuntamente questi obiettivi:
- la difesa e la promozione dei beni comuni ambientali indispensabili alla vita e allo sviluppo;- l’uso efficiente delle risorse del territorio;- la modernizzazione dei sistemi produttivi specie di piccole imprese anch’essi a forte caratterizzazione territoriale;- la creazione di infrastrutture e di sistemi di mobilità in grado di migliorare la qualità dei territori e delle città.
La piena e buona occupazione permette di valorizzare tutte le risorse personali della citta, a cominciare da quelle preziose dei giovani e delle donne, molte delle quali restano inutilizzate.
Per noi sviluppo e sussidiarietà sono strettamente legati: la crescita è necessaria per creare occupazione e risorse da distribuire, ma per altro verso uno sviluppo di qualità richiede un modello sociale nuovo più attento alla solidarietà e ai bisogni delle persone. Se vogliamo che concorrenza e sviluppo servano veramente al benessere dei cittadini e non portino a diseguaglianze e tensioni sociali, dobbiamo accompagnarli con politiche sociali e del welfare che perseguano la piena e buona occupazione, che garantiscano tutele e diritti essenziali a tutti i cittadini, nelle diverse fasi della vita, che contrastino l’esclusione sociale e le povertà, vecchie e nuove, che promuovano le capacità delle persone e dei gruppi sociali.
La qualità sociale è insieme carattere fondamentale e obiettivo irrinunciabile della nuova economia.Un sistema di solidarietà attivo che risponda ai bisogni essenziali dei cittadini nelle varie fasi della vita, dall’infanzia alla vecchiaia, serve a dare sicurezza, a valorizzare le capacità di tutti, e quindi costruire quella fiducia nel futuro essenziale per guardare avanti, per investire e innovare.
Il modello che proponiamo per rilanciare sia la competitività sia l’occupazione e per rinnovare il welfare necessita di una grande coesione sociale che va costruita col consenso, si deve basare su un impegno comune delle forze sociali politiche del volontariato…dell’associazionismo
SIAMO PRONTI A RACCOGLIERE LA SFIDA

Sergio Bruschini

Pres. Vicario Il Circolo del Buongoverno Conca Ternana