HOME non è mai politica attuale la parola dei profeti disarmati, ma in un popolo ci vogliono i politici attuali e i politici inattuali, e se i primi sono giudicati savi e i secondi matti, ci vogliono i savi e ci vogliono i matti, e guai ai popoli che hanno solo i savi perché spetta di solito ai matti porre e coltivare i germi della politica avvenire (B. Croce)
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Grandi menti parlano di idee, menti mediocri parlano di fatti, menti piccole parlano di persone. (E. Roosevelt)

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domenica 21 dicembre 2008

"Serenandia" di Eligio Bartoli: una fiaba per crescere

La penna di Eligio Bartoli, uno dei più attivi collaboratori di www.pdlterni.org , ci ha abituato a grandi dosi di passione e a una viva forza evocativa. Oggi la casa editrice ternana "Edizioni Thyrus" pubblica "Serenandia" una sua breve opera, curata e ricca di pregevoli illustrazioni, che ci fa scoprire anche un lato della sua personalità delicato e responsabile nei confronti dell'infanzia e dell'educazione. Rivolgiamo a Eligio alcune domande, su questa bella iniziativa:
- Che cos’è Serenandia?
La breve storia di SERENANDIA è quella di un mondo fantastico dove tutti vivono felici, sempre giovani e dove ogni desiderio lecito viene esaudito. La vita scorre serena fino a che una giovane mente di Serenandia non ha un desiderio contrario alle sue leggi; allora l’incantesimo si rompe provocando l’invecchiamento improvviso di colui che ha desiderato e la sua trasformazione in un mostro, metà uomo e metà tartaruga, chiamato Tartuomo. L’evento provoca il risveglio di Rossocattivo, il vulcano nemico che vive nelle viscere della terra costretto al silenzio dal regnare dell’ armonia su Serenandia. Comincia così una battaglia fra i suoi abitanti e Rossocattivo che vuole conquistarla e asservirla al suo volere. E’ l’allegoria della fine dell’ innocenza inconsapevole dell’ infanzia e dell’ inizio della vita sociale con le invidie e le mire di sopraffazione delle ideologie. Saranno i tre Saggi del Consiglio della Serenità a difendere e salvare Serenandia dal potere malvagio di Rossocattivo, il Cerbiatto, il Coniglio e il Cavallo che incarnano i valori di bontà sapienza e libertà.
- Perché hai scritto questo racconto?
Ho scritto questo racconto per trattare, da un angolazione fantastica, la condizione dell’ adolescenza e i gravissimi rischi di prevaricazione, strumentalizzazione e violenza che corrono, oggi come non mai, i bambini. Le vicende di cronaca e quelle ultime del mondo della Scuola, ne esaltano, purtroppo, l’attinenza con la realtà.
- Quindi è una fiaba per .. genitori?
E’ una fiaba per genitori e figli, da leggere insieme, con l’auspicio che la famiglia, la scuola, il mondo del lavoro e tutta la società civile, possano essere un giorno un’unica Serenandia.

sabato 1 novembre 2008

Governare non è solo metodo, ma anche contenuto

L’incontro di presentazione della lista civica “Rinnoviamo insieme Terni” che si è svolto ieri è stato nel complesso positivo. Una successione di pochi e brevi interventi che hanno offerto l’occasione della ribalta anche a due giovani come Alessio Santi, presidente del Comitato pendolari e Francesca Consiglio, presidente del Comitato per i diritti dei bambini che hanno portato, con concretezza, freschezza e semplicità, l’esperienza di alcuni dei problemi reali che i ternani devono affrontare quotidianamente e rispetto ai quali l’azione degli enti locali è insufficiente.
Se da un lato va rilevato con soddisfazione che non ci sono stati litigi di sorta, dall’altro diventano doppiamente gravi, perché evidentemente immotivate, le sparate sulla stampa locale fatte nei giorni immediatamente precedenti all’incontro.
Nel suo intervento in qualità di Vicepresidente dell’associazione civica Enrico Melasecche, consigliere regionale dell’Umbria aderente al gruppo dell’UDC, Consigliere nazionale dell’UDC e membro dell’Esecutivo Nazionale dell’UDC quale Responsabile politico nazionale per le Regioni Rosse, ha sottolineato essenzialmente due concetti: che i programmi si possono anche copiare da quelli presentati nelle elezioni precedenti, oltretutto perché ormai si assomigliano tutti e che non è importante il programma, ma il “progetto” con i nomi che lo devono sostenere.
Posso concordare, con alcune non secondarie accortezze, su entrambi i concetti, infatti che i programmi di rilancio della Città di Terni si somiglino da elezione a elezione è una triste realtà, che evidenzia solo il fatto che il rilancio non viene mai realizzato e i problemi restano irrisolti. Mentre invece che i programmi siano sovrapponibili tra centrodestra e centrosinistra questo è evidentemente un eccesso retorico, perché le convergenze sono state in passato (per quelle future attendiamo di vederli i programmi delle elezioni 2009, prima di valutarli) sui temi essenziali della Città, che sono e devono restare patrimonio comune, tra cui il ruolo essenziale della grande industria nel tessuto economico cittadino per fare un solo esempio.
Anche la preminenza del “progetto sostenuto dai nomi” rispetto ai contenuti delle proposte è una semplificazione retorica, perché governare non è solo metodo, ma è anche contenuto.E’ vero che nella vecchia politica si diceva “prima il programma”, ma nella realtà significava “prima ci dobbiamo accordare sulle poltrone” e questo ha, giustamente, determinato un rigetto di questi modi di fare politica da parte degli elettoriMa non è semplicemente sostituendo al termine “programma” quello di “progetto” che cambia qualcosa, per fare quello che gli elettori si aspettano da noi, dobbiamo avere delle idee per la nostra città, dobbiamo avere un “progetto” o “programma”, che dir si voglia, fatto di ambiziosi contenuti di cambiamento e dobbiamo proporre candidati in grado, con la loro personalità e credibilità, di incarnare questo cambiamento.
Ognuno deve poter fare questo percorso in piena libertà apportando il suo impegno nella appartenenza ideale a un movimento politico, che per quanto riguarda il PdL non a caso pone “la politica del fare” e “il buongoverno” come valori centrali, oppure, se crede, valorizzando il proprio impegno civile e la propria estraneità a formazioni politiche. In un leale e onesto progetto di rilancio della nostra Città ci deve essere spazio per tutti, in una logica di inclusione e di riconoscimento reciproco.E infatti il Presidente Baldassarre, con altrettanta concretezza, freschezza e semplicità, nel suo intervento conclusivo ha pronunciato parole chiare e condivise, affermando che i problemi dei ternani sono tanti e se diamo la giusta rilevanza alla dimensione concreta che l’intervento dei due giovani Santi e Consiglio richiamavano, si scopre una quotidiana lotta dei cittadini contro gli ostacoli che si incontrano nella vita reale. E’ su questi temi che è urgente sentire una responsabilità comune e mettere in campo un impegno forte: l’impegno di tutti e anche il suo personale.
Personalmente ritengo che il Presidente Baldassarre abbia risposto a tono a entrambe le questioni:
1) il progetto dovrà essere elaborato a partire da questo approccio, di concretezza e buonsenso, che ponga al centro la vita reale e quotidiana dei ternani (i più accorti ci avranno potuto notare l’aggiornamento ai nostri tempi di quello che era il tema cardine dell’azione di governo di Ciaurro e che lui chiamava l’approccio del “buon padre di famiglia”)
2) se l’affermazione della necessità di un forte impegno personale da parte di tutti, e in quel “tutti”, il Presidente Baldassarre ha tenuto a includere sé stesso, prelude, come credo e spero, a una futura sua candidatura a Sindaco di Terni, anche il “progetto sostenuto dai nomi” sarà compiuto perché a quel punto il nome, in grado con la propria personalità e credibilità, di incarnare e garantire il cambiamento ci sarà: sarà quello di Antonio Baldassarre.
Paolo Cianfoni

lunedì 27 ottobre 2008

Perché lo sciopero del 30 ottobre è contro la scuola

° Il sistema scolastico italiano ha, da tempo, urgente bisogno di essere riformato: siamo ai primi posti, tra i Paesi dell’Ocse come spesa per l’istruzione, ma tanta spesa non incide sulla qualità. Il numero di ore di lezione degli alunni supera del 20% la media dei paesi Ocse, ma ai primi posti per la qualità dell’apprendimento vi sono Paesi dove si sta a scuola molto meno.
° Per rispondere alla emergenza educativa è indispensabile tenere conto della domanda di istruzione e di educazione che proviene dai giovani di oggi e dalle loro famiglie. Per questo è prioritario dare attuazione all’autonomia costituzionale prevista per le scuole, assicurando alle stesse veri organi di governo e risorse dirette. Gli altri cambiamenti verranno come diretta conseguenza: drastica riduzione di norme; livelli essenziali di apprendimento; carriere per i professionisti della scuola con effettivo riconoscimento del merito e delle prestazioni; dirigenza scolastica messa in grado di rispondere dei risultati; moderno sistema di valutazione che aiuti le scuole a migliorare.
° Una prospettiva di così ampio respiro necessita di tempi lunghi. Occorre dunque un impegno costante per il bene comune da parte di tutte le forze sociali e politiche autenticamente riformiste. Per questo è necessario che anche i sindacati, anziché condurre battaglie di retroguardia dannose per tutti, tornino ad impegnarsi per il bene comune. Lo sciopero generale indetto dai sindacalisti per protestare contro la riforma della scuola esprime più debolezza che forza. E’ la rievocazione di una mitologia sindacalista che vedeva nello sciopero generale il momento della mobilitazione totale come preludio della rivoluzione. La scuola, così, viene trasformata in una cinghia di indottrinamento delle menti più giovani e perciò indifese. Gli slogan lanciati in questi giorni e irresponsabilmente depositati sulle bocche degli studenti spinti in piazza a manifestare contro chi oggi è chiamato a governare, appaiono strumentali e ridicoli, tanto più perché gridati in difesa di una scuola italiana di cui tutti, in questi anni, si sono lamentati.
° Dobbiamo informare chi non lo sa, che misure prese dall’attuale Governo in realtà, non si scostano, nei principi ed in molte proposte, da quelle suggerite dal Quaderno Bianco dei ministri Padoa-Schioppa e Fioroni, nella prospettiva del vincolo di pareggio entro il 2011 richiesto all’Italia dall’Unione europea. La razionalizzazione di spesa all’interno di un sistema tanto elefantiaco quanto improduttivo è urgente e indispensabile. I provvedimenti approvati a favore di interventi per l'edilizia scolastica e la messa in sicurezza degli istituti ne costituiscono un primo significativo segnale.
° Non aderiamo allo sciopero del 30 ottobre perché non ne condividiamo le motivazioni. Non possiamo accettare le posizioni corporative di un certo sindacalismo che, guidato in particolare dalla CGIL, continua ad opporsi, per ragioni di mero potere, a qualsiasi serio tentativo di cambiamento del sistema di istruzione nazionale. L’istruzione è un bene di tutti: per questo è indispensabile che ogni seria riforma si costruisca attraverso il dialogo con le componenti “reali” della scuola.
Prof.ssa Gabriella CaronnaPresidente del gruppo F.I. verso il PDL in Provincia di Terni

sabato 25 ottobre 2008

Dipendenti comunali come bradipi?

La vicenda dello striscione contro il decreto Gelmini esposto sulla facciata della biblioteca comunale di Terni, considerando le rilevanti energie profuse dalla sinistra nella propaganda contro il Ministro Gelmini e quindi considerando prevedibile il comportamento un po' sopra le righe di qualche giovane contestatore, dimostra complessivamente una condotta corretta dell'Assessore Berrettini che ha ordinato la rimozione, anche se c'è stato bisogno di un comunicato di protesta dei Consiglieri Nevi e De Sio. Divertente è invece la lettura a contrario della nota ufficiale emessa dall'assessore per illustrare la vicenda, quando, per un eccesso di zelo (di paglia), dice "Subito mi sono attivata affinché lo striscione fosse rimosso ... Da una indagine svolta tra il personale in servizio ho poi verificato che presumibilmente lo striscione era stato affisso tra le ore 12/12,30 e le 13,50 (ora della rimozione) poiché in precedenza non era stato notato." Pertanto sembra di capire che lo striscione potrebbe essere stato affisso, in un palazzo comunale in piena attività, con la presenza di tutto il personale assegnato al proprio posto, a mezzogiorno e notato dopo quasi due ore. Se le cose stanno così per velocizzare l'attività della biblioteca si può provare ad assumere dei bradipi o anche dei ghiri.
Paolo Cianfoni
(foto bradipo autore mrwlf84 fonte flickr)

sabato 18 ottobre 2008

Appunto sull'ambiente

I movimenti ecologisti sostengono idee astrattamente sacrosante (i rifiuti è meglio riciclarli che bruciarli, l'energia nucleare produce scorie inquinanti, ...) come fa un cittadino normale a non concordare?
Non è un caso che gli ambientalisti siano spesso di sinistra, perché questi ragionamenti presuppongono due concetti (errori) molto confacenti alla sinistra italiana: 1) l'astrazione ideologica e 2) la deresponsabilizzazione rispetto al sistema mascherata da responsabilizzazione del singolo.
1) Astrazione ideologica
E' logico che, in astratto, è meglio riciclare i rifiuti piuttosto che bruciarli. ma le tonnellate di rifiuti che si stanno producendo in Italia mentre leggi queste righe che fine stanno facendo? Quelli prodotti in Umbria stanno andando alla discarica di Orvieto, che prima o poi si esaurirà, solo in piccola parte saranno riciclati. La domanda concreta è, quindi: la gran massa dei rifiuti che non sono stati riciclati è meglio metterli in discarica o negli inceneritori? Mentre per il futuro certamente occorre aumentare la quota dei rifiuti riciclati, ma anche in relazione a questo sarà possibile avere risultati concreti, solo con iniziative concrete: premi alle amministrazioni comunali che riciclano e sanzioni a quelle che non lo fanno (non ai cittadini), ecc.
In effetti gli ambientalisti campani che dicevano no agli inceneritori perché inquinanti cosa hanno ottenuto? Hanno riempito le strade di rifiuti, cioè il più grande disastro ambientale dell'Italia moderna.
2) deresponsabilizzazione
Dire che il riciclaggio si otterrà con una generale operazione culturale è giusto, ma è astratto e finisce per diventare un alibi. La sinistra di solito propone come soluzione che il cittadino si adegui, ma cosa fanno le amministrazioni per ottenere questo cambio di comportamenti? Di solito nulla che non sia un po' di propaganda. E' responsabile dire che le centrali nucleari sono inquinanti e condannare un paese manifatturiero come l'Italia alla carenza di energia almeno a prezzi accettabili? Così facendo si ottiene in realtà quasi nessun vantaggio ambientale, mentre di sicuro un concreto aumento della disoccupazione e preoccupanti dipendenze economiche da determinati Paesi.
Si possono costringere per decreto le industrie europee a emettere meno sostanze inquinanti aggravando i costi della produzione, mentre nei Paesi emergenti non ci sono limiti all'inquinamento e allo sfruttamento? Fare così significa in realtà aumentare la quota di beni prodotti nei paesi con industrie maggiormente inquinanti e disumane, e diminuire quella prodotta in Europa dove le industrie sono meno inquinanti e più umane.
Ecco perché a fare le cose che dicono gli ambientalisti ideologizzati e deresponsabilizzanti (e tanti burocrati di Bruxelles) , sembra di fare bene, ma si ottiene l'esatto contrario.

martedì 30 settembre 2008

Urinare e vomitare sul palcoscenico non è arte

La politica culturale del Comune di Terni non perde occasione per dimostrare la sua inutilità e il suo provincialismo. Lo spettacolo finale di "Es Terni" il "festival del teatro contemporaneo" organizzato dal Comune di Terni, che già dal nome dimostra una grande scarsità di idee, si è concretizzato in performance degli attori che hanno urinato e vomitato sul palco.
Come riportava il programma si voleva far riflettere gli spettatori "sull'importanza di creare qualcosa di cui nessuno ha bisogno": il punto non è lo "scandalo" che provoca lo spettacolo, il punto è l'esatto contrario, cioè che è più di un secolo che di fronte alla chiusura e alla volontà di non capire delle cosiddette società benpensanti, gli artisti sono ricorsi all'utilizzo di urina ed escrementi per scioccare e mettere in crisi questo modo di pensare. Ma oggi che le società benpensanti non esistono più, che in tv e più ancora su internet questi atti sono all'ordine del giorno e non sono più provocazioni, essi non possono più avere alcun contenuto artistico, sono al massimo la trovata furbesca di un autore cronicamente a corto di idee per spillare soldi ad assessori altrettanto a corto di idee e pervasi di provincialismo.
La pietra tombale sulla presunta "provocazione" l'hanno messa gli spettatori che, come risulta dalle cronache, hanno appunto applaudito e non si sono scandalizzati.
Lo scandalo non sta nello spettacolo, lo scandalo sta nel fatto che il comune di Terni non riesce ad esprimere nessuna politica culturale degna di questo nome e finanzia con i soldi dei cittadini cose come questa.
Paolo Cianfoni

domenica 28 settembre 2008

La crisi indotta dalla finanza fine a sé stessa

Molto volentieri ospitiamo un intervento dell'Ing. Marco Benucci, Vicepresidente nazionale dei giovani imprenditori di Confcommercio
Vorrei offrire alcune considerazioni da imprenditore sulla crisi finanziaria internazionale. Per farlo, però, devo fare alcune premesse. Troppe volte – infatti – il grande pubblico confonde i finanzieri con i manager e con gli imprenditori perché troppi personaggi economici assumono comportamenti da finanzieri pur continuando a dirsi imprenditori.Il finanziere opera sui mercati finanziari acquistando e vendendo denaro o prodotti similari quali azioni, obbligazioni e derivati. Scambia cioè denaro con denaro di forma diversa per trarne profitto, preoccupandosi non tanto dell’uso che si fa di tale denaro quanto del tasso di remunerazione dell’investimento operato. Il finanziere – per la natura stessa degli investimenti da lui compiuti – tende a ragionare sul breve termine perché lo scambio di denaro può essere assai rapido.Il manager è, invece, un professionista che deve rispondere agli azionisti circa le proprie decisioni gestionali e che, dovendo garantire – in termini di dividendi – la remunerazione degli investimenti altrui, è costretto a ragionare con orizzonti temporali di breve e medio termine perché l’azionista potrebbe non accettare investimenti i cui ritorni siano differiti troppo avanti nel tempo.L’imprenditore, infine, gestisce un’azienda di cui è proprietario e reperisce e gestisce le risorse necessarie a produrre beni e servizi il cui valore finale sia complessivamente maggiore di quello delle materie prime e delle risorse impiegate. Egli, fatta salva la necessità di garantire la propria sopravvivenza, può ritenere tollerabili orizzonti temporali più lunghi rispetto al finanziere e al manager perché, in definitiva, risponde solo a se stesso ed ai propri soci, cioè a persone che stanno “sulla sua stessa barca”. L’imprenditore può permettersi anche di rinunciare ai guadagni di oggi per lasciare “qualcosa in più” ai figli.Passando ad una analisi storica delle tre figure, possiamo dire che l’imprenditore esiste da quando esiste una qualche forma di civiltà: già nella preistoria il cacciatore si procurava le prede e le scambiava con gli utensili realizzati dall’artigiano e con i prodotti dell’agricoltore. Tutti è tre questi nostri progenitori gestivano un processo produttivo i cui risultati (la cacciagione, gli utensili e i prodotti della terra) avevano un valore superiore a quello degli elementi originari.Il finanziere è nato molti secoli dopo e già da subito traeva la sua unica ragion d’essere nella necessità degli imprenditori di reperire denaro – cioè risorse finanziarie – al fine di consentire lo svolgimento di una produzione ormai troppo onerosa per essere sostenuta solo dalle risorse dell’imprenditore stesso.Il manager è la figura più recente: egli è nato per gestire i soldi di persone che, spesso senza conoscersi, hanno deciso di investire in un’azienda concorrendo al capitale di rischio senza avere le competenze e/o la forza di gestirla direttamente.Come si può comprendere, sia il manager, sia il finanziere sono nati a servizio dell’azienda mentre l’imprenditore è il “padre ed il tutore” nonché parte dell’azienda stessa.Tralasciando il manager e limitandoci ad analizzare il ruolo del finanziere, siamo costretti ad entrare in argomenti più tecnici ma necessari a comprendere la crisi in atto.Si è soliti paragonare l’azienda ad un organismo vivente i cui organi sono i suoi processi. Laddove per processo si intende un insieme di attività correlate o interagenti che trasformano elementi in ingresso in elementi in uscita. La produzione è il più classico dei processi, in quanto trasforma le materie prime nei prodotti finiti che il cliente acquista. Essa genera il cosiddetto valore aggiunto, cioè la differenza tra il valore del prodotto finale ed il valore delle materie prime in essa impiegate.In generale tale valore aggiunto è positivo. Quando ciò non accade, qualcosa non funziona e, sul medio periodo, l’organismo-azienda si ammalerà e morirà. È quanto sta capitando ad Alitalia, un’azienda che eroga un buon servizio il quale, però, non può essere venduto al prezzo necessario per coprire i costi.La produzione, tuttavia, non è il solo processo aziendale; è semplicemente il più importante perché genera valore aggiunto e crea il prodotto o il servizio, quello che – opportunamente scambiato con il cliente – garantisce la remunerazione del rischio assunto dall’imprenditore (o dagli azionisti). Si è soliti individuare altri processi, detti di supporto alla produzione: quello direzionale, che è il cervello dell’organismo azienda; quello commerciale, che propizia lo scambio del prodotto con il cliente; quello di approvvigionamento, che garantisce l’afflusso di materie prime; quello di gestione delle risorse (umane e strumentali), che garantisce la corretta manutenzione dei vari organi di questa strana entità; infine vi è il processo finanziario, che garantisce l’afflusso di denaro necessario a mandare avanti tutti i processi.Al pari di un organismo vivente, l’azienda non può permettersi gravi malattie in nessuno dei suoi processi/organi. Tuttavia dovrebbe apparire evidente a tutti che i cosiddetti processi di supporto, oltre a non generare valore aggiunto in quanto consumano risorse senza creare prodotti o servizi da scambiare con il cliente, trovano la loro ragione d’essere esclusivamente come “sostegno” al processo principale: quello che realizza il prodotto.Credo che, a questo punto, appaia chiara la chiave di lettura che chi scrive dà della crisi finanziaria attuale. Negli ultimi anni, la finanza ha assunto una centralità che non gli è mai stata propria e che ha posto l’azienda in un piano secondario: la produzione non era più la variabile principale ma un’occasione per “maneggiare soldi” attraverso il processo finanziario. Per troppi sedicenti imprenditori (in realtà finanzieri se non, addirittura, speculatori) non conta affatto ciò che si produce ma la compravendita di denaro. In buona sostanza il mezzo è diventato fine ed il fine è diventato occasione.La crisi finanziaria dunque, a mio avviso, non ha radici macroeconomiche (legate cioè alle leggi dell’economia) ma microeconomiche, cioè aziendali. Essa è semplicemente la sommatoria di tante crisi microeconomiche dovute ad un errore culturale gravissimo che – per pura miopia – ha condotto troppi operatori economici a ricercare facili guadagni nella finanza, dimenticando le buone prassi aziendali. Ciò è avvenuto sia nell’industria manifatturiera, sia nei servizi (che comprendono il commercio), sia in molte banche tradizionali.Quella che viviamo non né la crisi del liberismo, né la crisi del mercato, è semplicemente l’effetto della degenerazione di una cultura sbagliata che ha scambiato i mezzi per fini. Nessuna azienda potrebbe sopravvivere a lungo se il processo di approvvigionamento prendesse il sopravvento sulla produzione: essa morirebbe per i magazzini troppo pieni o perché acquista materie prime qualitativamente inutilizzabili. Non si comprende quindi perché si possa sperare di farla franca se si pretende di sottomettere la produzione di beni e servizi alle esigenze della finanza e non viceversa.
Marco Benucci
Vicepresidente Nazionale dei Giovani Imprenditori di Confcommercio

lunedì 22 settembre 2008

Le liste civiche siamo noi


Nell’Italia degli 8000 comuni a ogni tornata elettorale c’è una fioritura di liste civiche di ogni genere. E’ un fenomeno politico importante che non può essere ridotto a una semplice propensione all’individualismo. Certamente alcune delle cause sono poco edificanti, come le iniziative strampalate o i troppo furbi sempre indaffarati a cercare di interpretare “l’ago” della bilancia a qualunque costo, sia che la bilancia debba pesare l’intero schieramento destra-sinistra, sia che, in mancanza di meglio, debba pesare uno solo dei due schieramenti. Ma dietro le liste civiche ci sono anche le esigenze e i sentimenti profondi dei cittadini, come la distanza tra gli elettori e la politica, la percezione di una diversità tra il livello degli esponenti locali e quello dei partiti nazionali ai quali aderiscono, la volontà di “rompere gli schemi”, la priorità della dimensione amministrativa anche sulle adesioni politiche, l’amore per la propria città, la ricerca del cambiamento, la percezione delle emergenze. Le migliori liste civiche sono il risultato di una scelta forte, intima, di grande parte dell’elettorato, cosiddetto di opinione, ma non solo, in favore del buongoverno, della politica del fare.
Il Centrosinistra italiano deve guardare con sospetto a questo fenomeno. Perché le aree occidentali e riformiste del Centrosinistra sono state travolte prima dall’epoca delle inchieste giudiziarie e poi dai machiavellismi indispensabili a tenere insieme la Sinistra estrema con i padroni delle banche, i sindacalismi autolesionistici tipo Alitalia con il mercato, i radicalismi di ogni tipo con i filocattolici, i cattocomunisti, con i veterocomunismi, con i post comunisti, con i rifondatori comunisti, con gli ex direttori de “l’Unità” mai stati comunisti, ecc.
L’incapacità del Centrosinistra di promettere credibilmente il cambiamento e le riforme è evidentissima proprio nelle regioni come l’Umbria dove il ricordo della capacità di governo della Sinistra è, appunto, un ricordo e la prassi di mal-governo del “tassa e spendi” ci regala un numero enorme di dipendenti pubblici, una amministrazione sostanzialmente inefficiente e un gran mucchio di debiti.
E’ per questo che dobbiamo lasciare giustamente la preoccupazione di fronte a questo fenomeno alla Sinistra, mentre noi dobbiamo guardarlo con favore e promuovere e valorizzare questa dimensione locale, basta un po’ di pacatezza e di attenzione nell’analisi per rendersi conto che quelle esigenze e quei sentimenti che chiamiamo “spirito civico” descrivono anche l’identità più vera del Centrodestra italiano.
Cosa sarebbe il Centrodestra senza la priorità del buongoverno? Senza l’aspirazione al cambiamento, alle riforme profonde di tutti i settori dello Stato? Senza la conoscenza, non astratta, non fideistica, delle reali leggi di mercato e la definizione di una politica sociale di conseguenza concretamente ispirata a trarre dal mercato i maggiori benefici per la comunità proteggendo efficacemente i più deboli? Senza l’aspirazione alla modernizzazione del Paese? Senza il rapporto leale Stato – cittadino che presuppone e discende dal federalismo fiscale? Senza l’amore per le tante singole città e per il complesso della Nazione intesa come Patria? Cosa sarebbe il centrodestra senza la “politica del fare”?
La “politica del fare” è uno dei tratti essenziali dell’identità del Centrodestra che più evidenzia la vicinanza con lo spirito civico e la lontananza con la sinistra parolaia. Questo carattere volto alla concretezza che non è solo metodo, ma anche contenuto, definisce una continuità ideale e di approccio tra il Centrodestra e le tante espressioni dello spirito civico.
Allora nell’immaginare e realizzare una politica locale del PdL basterà avere l’accortezza di rendere comprensibile sul territorio la nostra identità, coniugandola con i temi propri delle liste civiche, che sono i nostri temi, perché le liste civiche siamo noi.

Paolo Cianfoni

(foto tramonto con chiesa autore la_sonix fonte flickr)

lunedì 8 settembre 2008

C'è una storia

C'è una storia del Centrodestra ternano dimenticata anche dagli stessi esponenti del Centrodestra. Sembra quasi che le persone che hanno collaborato e determinato tra il 1993 e il 1997 una grande ed esaltante esperienza politica, oltre che una eccezionale stagione di rinascimento della nostra città, non vogliano ricordare o, peggio, abbiano subito gli eventi senza interrogarsi sulle reali cause e le reali dinamiche. Questo è davvero un peccato, perché la riflessione sui fatti e sulle proprie azioni è la base dell'esperienza, unico reale valore per migliorarsi. Non intendo minimamente accusare nessuno di non voler capire, anzi, sono convinto che nonostante non siamo abituati a ragionare così, il Centrodestra a Terni sia già ora in grado di proporre una classe dirigente con doti di competenza del tutto equivalenti a quelle del Centrosinistra e con in più maggiore coraggio, maggiore coesione, maggiore buona volontà, maggiore passione. Personalmente sono facilitato nell'analisi e nel ricordo degli avvenimenti del governo del Centrodestra della nostra città, dal fatto che li ho vissuti con una età che cominciava per 2 e quindi oggi, con una età che inizia per 4, non devo fare "difese d'ufficio" e mi sembra naturale partire dal presupposto che non rifarei molte delle cose che mi sono trovato a fare e a "sopportare" in quegli anni.
Il punto è che l'epoca Ciaurro, indipendentemente dai torti e dalle ragioni, è finita traumaticamente per il Centrodestra e quindi negli anni immediatamente successivi si è creato un comportamento tacitamente condiviso volto a non riaprire le ferite.
In questo modo però il Centrodestra ternano non ha mai fatto una analisi approfondita e un confronto sugli avvenimenti di quel periodo e non ha quindi una interpretazione condivisa. Oggi però che quegli avvenimenti sono del tutto superati dalla politica e spostati, per forza di cose, sul piano della riflessione culturale, forse sarebbe utile una maggiore puntualità di analisi.
Non stupisce pertanto che tra la gente si ascoltino spesso delle ricostruzioni molto lontane dalla realtà degli avvenimenti di quegli anni, stupisce invece che sostanzialmente anche sui giornali, perfino negli articoli di attenti osservatori politici, regni una grande confusione. Pertanto le note seguenti possono essere utili, se non all'interpretazione, almeno alla memoria.
Nel 1993 la coalizione civica che alla fine candidò Gianfranco Ciaurro si chiamava "Alleanza per Terni". Era la reazione alla crisi della politica di alcuni partiti (PRI e PLI), di alcune "correnti" (alcuni venivano da una esperienza nel PSI), di cittadini singoli che avevano vissuto con sdegno la stagione della tangentopoli ternana e avevano sentito la necessità di reagire con un impegno diretto, appunto di carattere civico e di altri, infine, che volevano portare l'esperienza delle professioni e del mondo del lavoro nella politica locale.

La formula era ispirata alla "Alleanza Democratica" di Ferdinando Adornato. Alleanza per Terni era realmente civica e quindi non era facilmente collocabile in una geografia destra-sinistra, ma le interpretazioni di alcuni che la volevano dipingere come una formazione di sinistra cozzavano fin dall'inizio con la chiarissima e dichiarata alternatività al sistema di potere della sinistra a Terni, con gli orientamenti di Alleanza Democratica, come la successiva evoluzione e collocazione delle posizioni di Ferdinando Adornato hanno dimostrato, con la stessa composizione della lista.
ApT, come veniva indicata in sigla, pertanto, possiamo dire che partiva da posizioni centriste ed era destinata a fondare il centrodestra a Terni. Non era una associazione, ma direttamente una lista civica che seguì un suo piuttosto lungo percorso che comprese la costituzione di un comitato operativo (come il libro di Walter Patalocco correttamente riporta) con le rappresentanze dei partiti e dei gruppi, una serie di confronti più o meno assembleari, prima svolti nella sede del PRI, poi con l'utilizzo di sale messe a disposizione da alcune parrocchie, la formazione della lista, la formazione di un gruppo di direzione costituitosi in "comitato politico" praticamente in coincidenza con la vittoria elettorale, che si occupò, tra l'altro, del problema della candidatura a Sindaco. In particolare le candidature ipotizzate erano due quella di Gianfranco Ciaurro e quella di Guido De Guidi. Solo questa formula (ApT+Ciaurro) è risultata vincente, tutte le altre formule civiche, che sono state elaborate nelle elezioni successive, hanno fallito.
Il successo di ApT dipese, certamente dal profilo eccezionale della candidatura di Ciaurro e dalla estrema debolezza della sinistra per le note vicende giudiziarie e politiche, ma anche dal fatto che si inserì in un travaglio evidente del mondo cattolico cittadino. La DC, che a quelle elezioni candidò a Sindaco l'On. Renzo Nicolini, usciva da troppi anni di opposizione sostanzialmente consociativa (tradizionalmente svolgeva il collegamento tra le istituzioni locali sempre guidate dalla sinistra e il governo centrale), per poter convincere gli elettori in una fase in cui la priorità, vissuta addirittura con integralismo, era il rinnovamento. Questa insufficienza della DC era sentita anche all'interno del mondo cattolico da rilevanti esponenti democristiani che si differenziarono e, in particolare, da Stefania Parisi, che si candidò a sindaco dando vita a un'altra lista civica centrista che partecipò a quelle elezioni: l'Unione Civica.
Un altro elemento importante nel successo di ApT fu la conoscenza, indotta certamente da Ciaurro, del reale funzionamento dei meccanismi politici ed elettorali della nuova legge con ballottaggio. Ciaurro infatti superò Nicolini, guadagnando il ballottaggio, non fece apparentamenti di sorta, nemmeno con il MSI che aveva candidato la compianta Sen. Antonella Baioletti e sconfisse un candidato Sindaco della sinistra di indubbio valore, capacità e qualità politiche e personali, il Sen. Franco Giustinelli.
In sostanza ApT vinse perché seppe incarnare il cambiamento agli occhi dei ternani, cambiamento desiderato dagli elettori di Centrodestra, ma anche da elettori del Centrosinistra e della Sinistra anche estrema.

ApT in realtà non riuscì mai ad esistere come soggetto politico autonomo, perché si trovò subito stretta tra la nascita di Forza Italia e la identificazione agli occhi degli elettori con l'amministrazione Ciaurro. Il Centrodestra quindi affrontò le successive elezioni senza un soggetto politico centrista di riferimento: FI a Terni non era stata consolidata (era ancora politcamente "acerba", non aveva un gruppo consiliare, era sempre stata tenuta molto lontana formalmente e sostanzialmente dall’Amministrazione Ciaurro), mentre ApT si dissolse di fatto già prima della fine della consiliatura.
In effetti Ciaurro nel 1993 portò alla vittoria una lista civica che lui aveva trovata già pronta.

Proprio di questo si lamentò pubblicamente quando in occasione delle elezioni del 1997 ideò la formula e i contenuti della nuova formazione civica "Terni libera" (ai giornalisti che gli chiedevano "libera da che?" gli rispondeva "libera dai rossi"). In quelle elezioni AN presentò una propria lista collegata con Ciaurro, FI, invece, non si presentò, ma inserì candidati all’interno di Terni libera. Gianfranco Ciaurro scelse personalmente tutti i candidati di Terni Libera, proprio per marcare la differenza con ApT.
Non concluse accordi con il CCD al primo turno, che infatti candidò a Sindaco Francesco Renzetti, il collegamento Ciaurro-CCD si realizzò solo al ballottaggio. La tecnica elettorale dimostra in modo inconfutabile che il CCD non ebbe alcuna responsabilità nel fatto che non scattò il premio di maggioranza (cosiddetta anatra zoppa), infatti la sinistra ottenne più del 50% dei voti, quindi tutti gli altri, anche se fossero stati tutti collegati, avrebbero raccolto sempre meno del 50%. La valutazione puramente politica se una Terni Libera unita fin dal primo turno con il CCD avrebbe convinto anche elettori di sinistra o astenuti a sostenere il centrodestra, oppure se invece questo comportamento del CCD abbia convinto alcuni delusi da Ciaurro a votare comunque per il centrodestra è destinata a rimanere per sempre nel mondo dei "se". Inoltre nell'area centrista esisteva anche un'altra lista civica non collegata con Ciaurro, né al primo, né al secondo turno.
Terni Libera perse le elezioni, Ciaurro sarebbe stato riconfermato senza poter disporre della maggioranza del Consiglio Comunale, questo metteva di fatto nelle mani dei consiglieri di sinistra il potere di interrompere la consiliatura almeno due volte l’anno: nella votazione di assestamento del bilancio e nella votazione di approvazione dello stesso. Quindi era chiaro che la consiliatura si sarebbe interrotta prima della scadenza del mandato.

Terni libera fu un fallimento prima politico e poi elettorale, perché era nata con il preciso intento di evitare la presentazione del simbolo di FI, di regolare i conti con il CCD e di portare comunque Ciaurro alla vittoria con una maggioranza di consiglieri. Centrò solo il primo obiettivo, ma che quello fosse un obiettivo desiderabile è tutto da dimostrare.
Nel 1999 candidato Sindaco per il Centrodestra era Enrico Melasecche, il vicesindaco uscente. Collegate con Melasecche c’erano cinque liste tre politiche (FI, AN, CCD), due civiche: Terni Insieme e Terni Giovani. Erano tutte liste di centrodestra, in particolare le liste civiche erano state pensate dai partiti per uno scopo preciso, Terni Giovani doveva attrarre il voto dei giovani, e Terni Insieme doveva essere la lista civica propria del candidato Sindaco allo scopo di conferirgli un aspetto meno schierato (il “sindaco di tutti”) e per intercettare il voto della sinistra. In questo senso Terni Insieme fu un autentico fallimento, perché a giudicare dai dati elettorali, il suo apporto di provenienza dagli elettori di sinistra fu molto modesto, se non inesistente, mentre cannibalizzò i voti del Centrodestra, in particolare di FI.
Ricordare la nostra “storia” è utile per evitare di commettere ancora gli stessi errori. La storia delle liste civiche a Terni dimostra, se ce n’era bisogno, che solo le iniziative sufficientemente autonome e portatrici di un proprio valore agli occhi degli elettori possono realmente aspirare alla vittoria.
Inoltre non è mai utile ricalcare strade già percorse, anche se hanno portato al successo in passato: è molto meglio aprirne di nuove. Ma se l’area civica a Terni non riesce proprio a fare a meno di un modello ne scelga almeno uno vincente: guardi semmai ad Alleanza per Terni e alla sua eccezionale capacità di rispondere a quelle che erano allora le domande diffuse degli elettori.
Paolo Cianfoni

giovedì 31 luglio 2008

Sicurezza, coerenza e capacità di governo

Il sottosegretario agli Interni Nitto Palma (FI-PdL) in un incontro ufficiale con i prefetti umbri ha dichiarato, riferendosi all’Umbria, che “Questo è un territorio esemplare: non c’è emergenza sicurezza” e ha escluso, di conseguenza, la necessità di rinforzi alle forze dell’ordine. Il tutto è avvenuto a poche ore dall’occupazione del Consiglio regionale da parte dei Consiglieri del PdL per denunciare l’immobilismo del Centrosinistra di fronte all’evidente e documentato incremento dei fenomeni criminali in Umbria. Si tratta di una palese mancanza di coordinamento tra PdL umbro e un rappresentante del Governo, di particolare gravità.
Naturalmente ne è sorto immediatamente un grande polverone con tutti gli esponenti umbri del PdL che evidenziano come i fenomeni criminali in Umbria siano invece in preoccupante aumento e tantissime voci del Centrosinistra che, naturalmente, sottolineano che si tratta di un “autogol” del Centrodestra.Il punto è che quello dell’attacco al centrodestra è l’unico punto in comune tra le varie voci del Centrosinistra umbro.
Infatti alcuni sostengono la tesi che la criminalità in Umbria è “sotto controllo” e che il Centrodestra umbro fa “allarmismo”, mentre altri denunciano che il Governo sta sottovalutando il problema e lamentano l’esclusione dai “rinforzi” che stanno arrivando in altre regioni.Insomma di fronte a una incoerenza del Centrodestra, il Centrosinistra umbro risponde con altrettanta incoerenza, pur di attaccare tutte e due le diverse posizioni espresse da Nitto Palma e dal PdL dell’Umbria.
In particolare brilla il Sindaco di Terni On. Paolo Raffaelli che sostiene entrambe le tesi del Centrosinistra simultaneamente: “L’on. Nitto Palma ha fatto giustizia di tante strumentalizzazioni terroristiche ma, nello stesso tempo, cancellando con un tratto di penna gli impegni assunti dal Governo Prodi e dal Ministro Amato per un rafforzamento degli apparati di sicurezza umbri, dimostra di non aver capito che anche nelle realtà a forte controllo sociale e a buon contenuto di sicurezza si può rischiare un degrado se non si prendono tempestivamente le opportune misure di prevenzione”, tornando a schierarsi contro il decreto del Governo .
Che fiducia dovrebbero avere i cittadini nella politica e nella capacità delle istituzioni (centrali e locali) di governare questi fenomeni?
Ci vorrebbe un diffuso impegno da parte di tutti nell’aumentare i livelli della sicurezza e nel diminuire quelli di incoerenza delle posizioni politiche almeno sui temi che stanno a cuore alla gente.
In questo deprecabile “polverone” di certo c’è una recente indagine de “Il Sole 24 Ore” che evidenzia a Terni un incremento di reati nel 2007 del 12,5% rispetto al 2006 (si tratta della settima variazione più alta in termini percentuali tra tutte le province italiane), di certo c’è inoltre un Decreto Legge del Governo che aumenta il ruolo dei Sindaci nella sicurezza, quindi anche di quello di Terni: visti i fatti e i comportamenti sopra riportati secondo voi a Terni c’è da stare tranquilli?
O il solo fatto di domandarselo è una “strumentalizzazione terroristica”
Paolo Cianfoni

lunedì 28 luglio 2008

Novara: un esempio da seguire

Nella ricerca sulle auto blu (Le auto blu e la disinformazione dell'Amministrazione Raffaelli) abbiamo avuto modo di approfondire un esempio di buongoverno. Si tratta del Comune di Novara, città delle stesse dimensioni di Terni (102.000 abitanti circa), guidata da una giunta di centrodestra (Lega Nord, PdL e UdC) dove il Sindaco leghista Massimo Giordano dovendo sostituire una (ne aveva una sola! e non 5 come a Terni!) vecchia auto di rappresentanza del Comune ha cercato di risparmiare. Così ha chiesto la collaborazione dei concessionari della città, con il risultato che ben due hanno dato la disponibilità di concedere gratuitamente al Comune di Novara una loro vettura, avendone unicamente un ritorno pubblicitario: hanno semplicemente apposto sulle auto il logo del concessionario e la dicitura "vettura gentilmente concessa all'amministrazione comunale da...". Con questa iniziativa ci guadagnano tutti: l'Amministrazione comunale di Novara ha a disposizione in comodato d'uso gratuito una Jaguar X Type 20 D Executive berlina e una Mercedes-Benz classe E 320 CDI EVO Avantgarde, Le concessionarie “Prestige Cars Srl” del Gruppo Palmisano e "Autocentauro" partecipano ai risparmi della città di Novara e ottengono in cambio pubblicità, e soprattutto i cittadini di Novara possono benificiare di un importo pari al prezzo risparmiato di acquisto delle auto più utilmente utilizzato per le altre spese del Comune.
Un'idea semplice che, con un po' di modernità e meno prevenzioni verso le imprese private, perfino il Comune di Terni potrebbe utilmente copiare.
Paolo Cianfoni

Le auto blu e la disinformazione dell'Amministrazione Raffaelli

L'amministrazione Raffaelli non perde occasione per fare disinformazione: ieri un solerte addetto stampa ha diramato un comunicato sul rinnovo del parco mezzi del Comune e, per glorificare l'Amministrazione Raffaelli, ha precisato "Le auto di servizio, cosiddette “auto blu”, a disposizione del Gabinetto del Sindaco per funzioni di rappresentanza dell’intero Ente, sono 4 su un totale di 160. Un’altra auto di rappresentanza viene messa a disposizione dal Comune, così come previsto dalla normativa, per la Procura della Repubblica." ... "Tutt’altro, dunque, che un “autoparco da nababbi”, ma semplicemente un parco veicoli efficiente, moderno e gestito nella maniera più economica, con criteri innovativi”.
Detta così sembra che l'Amministrazione Raffaelli abbia fatto un attento esame delle necessità, dell'uso e dei costi dei mezzi comunali e in particolare delle auto blu, e che avere solo 5 auto blu sia un ottimo risultato.
Il fatto è che è vero il contrario, infatti abbiamo fatto una ricerca tra i comunicati, le interrogazioni e i siti internet dei comuni italiani per verficare se un comune capoluogo di provincia delle dimensioni di Terni che ha "solo" 5 auto blu sia da prendere come esempio positivo o piuttosto come esempio di malgoverno.
Certo l'argomento non è di quelli di cui le Amministrazioni comunali amino parlare, comunque abbiamo scoperto che città delle stesse dimensioni di Terni, hanno meno auto blu dell'Amminstrazione Raffaelli (Pistoia ne ha 2, anche Novara ne ha 2, ma ha fatto un innovativo contratto con dei privati e ne usufruisce di entrambe grauitamente, Arezzo ne ha 4, mentre Udine ha fatto la scelta di eliminarle tutte). Città che hanno circa la metà degli abitanti rispetto a Terni sono più virtuose, Agrigento non ne ha nessuna, Biella ne ha 2. Perfino città che hanno una volta e mezzo gli abitanti di Terni hanno meno auto blu (Ravenna 2, Livorno 3). Prato ne ha 5 come Terni, ma ha quasi il doppio degli abitanti. Il Sindaco di Roma Alemanno ha dismesso le due Lancia Thesis superaccessoriate a disposizione dell'ex sindaco Veltroni in favore di una "vecchia" Fiat Croma.
Verrebbe da chiedersi se pagare strutture di (dis)informazione, come fa l'Amministrazione Raffaelli, per propagandare che Terni ha "solo" 5 auto blu è "solo" pressappochismo o "proprio" malafede.
Certo la polemica sulle auto blu, è la classica polemica inconcludente, perché il vero problema è il costo dei trasferimenti di rappresentanza di Sindaci, Assessori e Dirigenti (viaggi con qualsiasi mezzo, soggiorni, ecc.) e soprattutto i ritorni in termini di amministrazione della cosa pubblica per i cittadini, non il numero delle auto blu preso come dato astratto. Ma leggere che il Comune di Terni si bea di avere "solo" 5 auto blu è veramente troppo.
Paolo Cianfoni

La lettera del Sindaco Raffaelli ai ternani sui BOC è un esempio di disinformazione pagata con i soldi dei cittadini

La lettera del Sindaco Raffaelli ai ternani sui BOC (Buoni Ordinari Comunali) è un esempio evidente di disinformazione pagata con i soldi dei cittadini. I ternani però sono molto meno sprovveduti di quanto dimostra di ritenere il Sindaco. La vicenda è molto chiara: da alcuni anni la legge ha permesso ai Comuni di aumentare le proprie entrate finanziarie ricorrendo a prestiti da parte dei cittadini. Questa opportunità per i Comuni è possibile alla sola condizione che tali denari presi a prestito siano utilizzati per “investimenti” e non per “spesa corrente”. Cosa significano queste formule contabili? Niente di strano, si riferiscono a un concetto di comune buonsenso: se due vostri amici vi venissero a chiedere un prestito di 50 mila euro, il primo per comprare una casa e il secondo per comprare viaggi, vestiti, ecc. a chi sareste maggiormente disposti a prestare la somma? Naturalmente a colui che intende investirle in un bene che aumenta il suo patrimonio, non a chi intende spenderla in attività che non aumentano la sua solidità finanziaria, cioè le sue “garanzie” di restituzione. Infatti le banche prima di concedere un finanziamento vogliono conoscere a fondo sia il reddito del richiedente, per valutare la sua capacità di pagare le rate di restituzione, sia la consistenza del suo patrimonio, per eventualmente istituire una garanzia (spesso una ipoteca su un immobile) e infine quasi sempre vogliono anche sapere come il richiedente intende spendere quei soldi che vuole in prestito.Quindi non c’è niente di strano nel fatto che il Governo abbia posto la condizione imprescindibile che i soldi presi a prestito dai cittadini vengano utilizzati esclusivamente per accrescere il patrimonio e quindi la solidità del Comune, si tratta semplicemente di un vincolo obbligatorio al buongoverno, cioè all’uso corretto dei soldi dei cittadini.Infatti se un cittadino che chiede un prestito a una banca deve dare tutte le informazioni e le garanzie che ho descritto, perché un Comune che chiede un prestito ai cittadini invece dovrebbe avere un trattamento privilegiato?E infatti non può averlo. La Corte dei Conti vigila che i Comuni non facciano i “furbi”, cioè che non utilizzino i denari presi a prestito dai cittadini per le "spese correnti".Nel bilancio del Comune di Terni, invece, secondo quanto è risultato a seguito degli approfonditi controlli effettuati dalla Corte, è risultata una violazione di questo elementare principio di buongoverno e quindi i Consiglieri Comunali che hanno votato e approvato la proposta elaborata dalla giunta Raffaelli che è stata censurata, sono stati chiamati a risponderne personalmente (in altre parole si sono presi una multa salata che dovranno pagare con i propri soldi). Ma il Sindaco Raffaelli no! Lui no! Perché a quella votazione da lui proposta al Consiglio Comunale era assente. Lui avrà soltanto un problema di immagine nei confronti dei ternani.. allora ecco la soluzione: una bella lettera pagata con i soldi dei cittadini per disinformarli sulla vicenda.Si tratta letteralmente di disinformazione perché nella lettera che i ternani stanno per ricevere a casa c’è scritto:1) che i BOC sono uno strumento utile. Appare chiaro infatti che nessuno, tanto meno la Corte dei Conti, ha messo in discussione che lo strumento dei BOC sia uno strumento utile, se gestito bene e nel pieno rispetto delle leggi. Le contestazioni si riferiscono all’uso che ne ha fatto la giunta Raffaelli.2) Che le sanzioni sono state erogate dalla Corte dei Conti solo su tre opere delle moltissime che sono state finanziate con i soldi provenienti dai BOC. Questa è una argomentazione davvero divertente, sarebbe come dire che un assassino che ha ucciso tre persone deve essere guardato con simpatia perché, in fondo, avrebbe potuto ucciderne molte di più.3) Che i tre interventi sanzionati erano “necessari e impellenti a seguito di eventi calamitosi”. Altro punto mai messo in discussione da nessuno, tanto meno dalla Corte dei Conti. La Corte ritiene infatti che questi interventi sono stati finanziati con soldi presi da dove non potevano essere presi, e che il Comune di Terni avrebbe dovuto finanziarli con il denaro utilizzabile per la spesa corrente.4) Che i tre interventi sanzionati erano stati fatti “nel solo spirito della salvaguardia e della sicurezza e dell’interesse pubblico”. Altra argomentazione interessante, infatti tutte le spese del Comune devono rispondere a un interesse pubblico. Non può essere diversamente, altrimenti si configurerebbe un reato. Di fronte a questa argomentazione verrebbe da chiedersi: esistono allora altre spese nel bilancio comunale che sono state fatte per tutelare interessi diversi?Ma è verso la fine del ragionamento espresso nella lettera di giustificazioni inviata dal Sindaco ai ternani che appare una frase che in realtà spiega tutto: “sono stati messi in discussione” …“solo e soltanto residuali irregolarità nell’imputazione delle spese all’interno del bilancio”. Quindi la violazione degli obblighi di legge sulla corretta imputazione delle spese all’interno del bilancio comunale viene definita dal Sindaco una irregolarità solo e soltanto residuale, cioè una cosa di poco conto, è come dire: “non è tanto che abbiamo imputato male le spese, è che la Corte dei Conti è un po’ fissata con il rispetto della legge”.
Se l’amministrazione Raffaelli avesse gestito la vicenda con maggiore serietà, e senza gli intenti propagandistici e la volontà di disinformazione che trasudano dalla lettera di giustificazioni inviata ai ternani, si potrebbe concordare sul fatto che è vero che in alcuni casi la suddivisione tra spese correnti e investimenti, che nella teoria è molto marcata, nella pratica diventa più labile e quindi a rischio di sanzione. Non occorre però mai dimenticare che l’interpretazione e l’applicazione delle norme è il compito specifico in primo luogo della Magistratura e che le sentenze vanno ascoltate e tenute in alta considerazione dagli uffici, proprio perché devono essere la guida dei comportamenti della pubblica amministrazione locale. Semmai c’è da chiedersi se è possibile che l’intera struttura tecnica del Comune di Terni non abbia avuto nemmeno un dubbio sui tre comportamenti sanzionati dalla Corte dei Conti e se non sia il caso di aumentare con adeguati supporti qualitativi la sensibilità dell’Ente riguardo l'applicazione delle norme contabili. Certo in questa direzione la minimizzazione che fa ufficialmente il Sindaco dei comportamenti sanzionati non fa ben sperare per il futuro. Ma quel che è più grave è che il Sindaco usa toni e argomentazioni che sembrano più adatti a una guerra personale o politica contro la Corte dei Conti da parte dell’Amministrazione Raffaelli che non ad una informazione ai cittadini. Se così fosse, perché i dipendenti comunali e i cittadini ternani dovrebbero essere costretti a combatterla? Sarebbe una guerra inutile e sciagurata, in grado di privare da un lato i dipendenti comunali della tranquillità necessaria per lavorare bene e dall'altra i cittadini delle normali aspettative di buongoverno.
In ogni caso è certamente sanzionabile dal punto di vista politico, e forse non solo, la scelta inaudita di spendere soldi pubblici per inviare la lettera ai cittadini, per propagandare argomentazioni del tutto pretestuose e, in sostanza, per disinformarli sull’accaduto.
Comunque, come a scuola, le lettere di giustificazione non possono diventare un’abitudine, perché altrimenti arriva immancabile la bocciatura, in questo caso la bocciatura sonora da parte degli elettori.

Paolo Cianfoni

domenica 6 luglio 2008

Marco Benucci è il Vicepresidente Nazionale dei giovani imprenditori di Confcommercio



L'Ing. Marco Benucci è stato eletto Vicepresidente Nazionale dei giovani imprenditori di Confcommercio (sostituisce l'Avv. Annarita Fioroni eletta al Senato). Anche se oggi l'Ing. Benucci non ricopre nessun incarico politico o di partito, FI di Terni ha avuto già modo di apprezzare le sue doti umane e professionali quando ha svolto in passato il ruolo di Coordinatore Provinciale FI di Terni. Quanti lo conoscono non possono che essere felici di questo importante riconoscimento che si aggiunge alla già lunga lista di importanti incarichi politici e professionali ottimamente svolti da Marco. Rivolgiamo le congratulazioni a Marco e rappresentiamo i sentimenti di stima e amicizia.

lunedì 16 giugno 2008

Il testo della relazione di Luca Diotallevi al convegno "Una comune responsabilità per il futuro della città"

Noi del Circolo del Buongoverno "Conca Ternana" siamo da sempre attenti alle idee che possono incidere sul futuro della Città. La relazione di Luca Diotallevi è un testo importante e in gran parte condivisibile sotto vari profili. Chi si impegna da anni nella politica locale e nel campo culturale per il rinnovamento della Città troverà alcuni temi e concetti già noti e molte volte già espressi e sostenuti in prima persona. Questo nulla toglie al valore della relazione, anzi descrive letteralmente gli spazi per "una comune responsabilità per il futuro della Città". In questo senso sarebbe imperdonabile da parte nostra un atteggiamento di sufficienza, perché significherebbe da un lato accodarsi al provicialismo culturale che invece combattiamo e dall'altro arroccarsi in posizioni improduttive. Certo molto potremmo aggiungere, dal nostro punto di vista, riguardo alle infrastrutture, alla sicurezza, alla concretezza rispetto ai sistemi politici e decisionali in atto (tanto per fare alcuni esempi), ma non possiamo non salutare con gioia la presenza di nuovi importanti soggetti sui temi della competizione di mercato, della competizione territoriale, sul "primato della crescita" campi dove il dialogo politico e culturale a Terni è stato sempre carente e parziale, anche per una nostra insufficienza a far valere le nostre buone ragioni. Per questi motivi l'intervento del Prof. Diotallevi va letto con grande attenzione. Per questi motivi va ringraziato Mons. Paglia per il servizio che ha reso alla Città.
Per approfondimenti segnaliamo il blog ufficiale dell'evento "Responsabili per il futuro della città" all'indirizzo http://responsabiliperilfuturo.splinder.com/
Riprendere un cammino, condividere una agenda, ricostituire una città
1. Un invito alla franchezza - Signore, signori,ancora poco fa abbiamo sentito ripetere l’invito rivolto dalla Chiesa diocesana e dal Vescovo a tutta la città. È l’invito a parlare con chiarezza sul presente e sul futuro della nostra comunità locale. Nella lingua del Nuovo Testamento saremmo stati invitati a parlare εν παρρησια (Col 2, 15), con franchezza, del futuro e del presente della nostra comunità locale.Il contenuto di questa franchezza non può essere solo una analisi, bensì l’indicazione di una positiva interpretazione delle sfide e delle opportunità del nostro presente. Queste pagine hanno attinto facilmente – per opera di molti autori e molte autrici – alla elaborazione ecclesiale di questi ultimi anni, ed in particolare agli interventi pubblici del Vescovo, alla riflessione sul tema “Eucaristia e città” avviata dal Consiglio Pastorale Diocesano sin dal 2002, ed accompagnata in particolare dal lavoro del Congresso Diocesano dei Laici, e dall’impegno profuso nella stessa direzione dall’Azione Cattolica e dalla Caritas diocesane.
2. La franchezza del realismo, innanzitutto - Proprio questa sala è un buon argomento contro il timore di una situazione senza via d’uscita per la nostra comunità locale. Questo, da solo, non è un argomento risolutivo, ma di certo è un argomento non trascurabile. L’invito della Chiesa diocesana è stato accolto, a dimostrazione che la città reagisce, è capace di interrogarsi, possiede energie ed anticorpi. Ma c’è dell’altro, se guardiamo ancora un poco più a fondo. La comunità locale ha risposto in tutto il suo articolarsi plurale. Ciò rivela che questa nostra comunità ha ancora la forma di una “città”, con una pluralità di soggetti e di istituzioni. Ora meno che mai, dunque, ci sono buone ragioni per non guardare anche al lato negativo della realtà, né per farsene dominare.
ProcessiA partire almeno dalla metà degli anni Novanta e fino al 2005 la provincia di Terni è rimasta indietro rispetto al resto del paese. Se nel 1995 il valore aggiunto per abitante di Terni era all’incirca già di 6 punti percentuali al di sotto sia della media italiana sia della provincia di Perugia, dieci anni dopo il distacco con Perugia era di 10 punti e quello con la media nazionale si era allargato fino a 14 punti. Ciò significa che la nostra economia ha marciato ad un ritmo decisamente più lento di quello del resto d’Italia, già molto lento. I dati per il 2007 confermano sostanzialmente il permanere di questo gap.Stentano ad emergere attività industriali e soprattutto terziarie, a maggiore produttività e a più alta intensità di fattori immateriali e di capitale umano qualificato. Anche i dati relativi all’occupazione segnalano un deficit strutturale di opportunità di lavoro. Ancora nel 2006 il tasso di occupazione totale della provincia di Terni era molto al di sotto di quello di Perugia. In questa condizione di debolezza, l’invecchiamento della popolazione rappresenta un ulteriore e grave fattore di rischio per il futuro della nostra comunità, sia per la tenuta del welfare locale che per i bilanci delle famiglie. Nel 1971 nel territorio della diocesi c’erano solo 56 persone con più di 65 anni ogni 100 giovanissimi di età fino ai 14 anni. A metà del decennio in corso nell’area di Terni Narni e Amelia le proporzioni quantitative tra le fasce di età si sono completamente invertite: ora ci sono più di 200 anziani ogni 100 giovanissimi. Oggi, in tutta Italia, solo la Liguria presenta una situazione più grave.Terni resta una delle aree locali più sicure del paese, ma il ritmo di crescita della criminalità denunciata è tra i più elevati di tutto il paese.
Ben sappiamo che questi dati non rappresentano tutta la realtà, e proprio per questo non è di alcuna utilità ignorarli. Qualcosa di analogo, del resto, era già emerso dalla relazione tecnica con la quale si era aperta la conferenza economica cittadina del Comune di Terni nel 2006.Si tratta di ‘crisi’? Si tratta di ‘declino’? Pur di non perdere una buona occasione di confronto, come questa, possiamo anche accantonare per un momento una questione che non è certo solo nominalistica. Possiamo non chiudere la definizione di questi fenomeni a patto però di non ignorarli.
Coscienza dei processiSenza una diffusa coscienza di questi processi, un nuovo fattore di crisi si aggiunge a quelli già all’opera.Per un verso, come emerge da un recente sondaggio (commissionato dalla diocesi e dal Consiglio Pastorale Diocesano in vista di questo incontro alla agenzia di ricerca internazionale GFK-Eurisko e condotto nel mese di Maggio u.s. su di un campione di 1000 ternani e rappresentativo della intera popolazione per età, sesso, titolo di studio e condizione professionale), alla crisi si aggiunge una diffusa non consapevolezza della crisi che ormai sembra prevalere nella opinione pubblica ternana. Solo un numero, ma emblematico: 3 ternani su 4 pensano che nella nostra città la maggior parte degli individui sia occupata nell’industria. Oggi questa città conosce se stessa troppo poco, e senza autocoscienza collettiva certamente non può esserci ancora sviluppo.Per altro verso, lo stesso sondaggio mostra che ampie fasce della popolazione più giovane e più istruita (il 40% dei giovani tra 18 e 34 anni) non vedono il proprio futuro professionale che fuori e lontano da Terni.
3. Ma una città c’è… - ma a rispondere è stata una comunità in forma di città! E, nella misura in cui l’invito è stato accolto in questa forma plurale, con consensi, dubbi, cautele e schiette critiche, si è fatta più seria la crisi di una vecchia idea e di una vecchia pratica della politica, intesa come competenza esclusiva di pochi sul tutto. Con una risposta del genere è entrato in crisi uno dei fattori che frenano lo sviluppo: l’idea che l’ultima se non l’unica parola sulla città sia dei politici.La città aperta e plurale ha certamente bisogno di una politica efficace, in grado di assumersi le proprie responsabilità. Ma la città soffre di una politica che si percepisce come il punto nel quale si tirano le fila, si ricapitola, si sintetizza, si tiene insieme. Ciascuna istituzione, a modo proprio, tira le fila, ricapitola, sintetizza, tiene insieme. Questo è il punto. Nella città plurale non c’è posto per il primato di nessuna istituzione sociale. Ciascuna istituzione sociale ha titolo per parlare alla città e della città, tutta intera, dal proprio punto di vista. Può essere, e deve essere parziale il punto di vista: non è parziale, ma globale, l’oggetto e la responsabilità. Chi ha risposto all’invito della Chiesa e del Vescovo ritiene che quell’invito può trasformarsi in una positiva discontinuità. E questa possibilità sfida ormai pubblicamente la nostra responsabilità: una responsabilità comune per il futuro della città.
Rinnovamento per competizione La discontinuità che cerchiamo non può avvenire per consenso ma per competizione. Ciò non significa voler lacerare la comunità, perché la competizione per l’innovazione può unirci molto di più ed in modo più civile di quanto ci unisce il consenso ad ogni costo. E poi, è solo questa competizione per il rinnovamento che garantisce il ricambio dei gruppi dirigenti, in ogni ambito e non solo in quello politico, ed una più generale mobilità sociale. Non ci sono alternative: nuovi gruppi dirigenti si formano a mezzo di altri gruppi dirigenti. Solo dalla competizione e dalla sfida giunge quel rinnovamento che ha il grado di discontinuità necessario.Non ci sono alternative: solo preferendo il merito alla posizione, ovunque, si promuovono il rischio e la sperimentazione. Il merito suppone la competizione, la competizione è l’antidoto all’accomodamento.
4. Una doppia discontinuità - Questa nostra responsabilità ha di fronte a sé una domanda chiara e stringente: come rispondere alle sfide ed alle gravi difficoltà con cui abbiamo a che fare?Proprio questo è il punto in cui accettiamo davvero oppure lasciamo cadere l’invito alla franchezza.
Tornare a crescereOra non si tratta di discutere di modelli ideali. Non ne abbiamo il tempo e non è utile. Il combinarsi dell’accelerazione dello sviluppo globale e del significativo rallentamento del nostro cammino, ci impongono di cominciare da una questione più cruda.Certamente lo sviluppo ha tanti modelli, ed è comunque qualcosa di diverso e di più ampio della mera crescita economica, ma con chiarezza dobbiamo chiederci se in questo momento la nostra comunità locale può negare il primato alla questione della crescita. A nostro giudizio la risposta è “no”. Senza una ripresa della crescita parlare di sviluppo è un alibi. Solo avendo chiarito questo punto possiamo aggiungere che porre con chiarezza la priorità della crescita significa pensare a prospettive in cui elementi materiali ed immateriali, strutturali ed ambientali, organizzativi ed umani, si combinano.
Discontinuità d’identitàCiò detto, non possiamo far finta di non capire che mettere oggi ai primi posti della nostra riflessione i temi della crescita e del ricambio dei gruppi dirigenti, significa esigere e forse già avviare un cambiamento nell’identità della città.La maturazione di una nuova immagine della città, e persino l’identificazione di nuovi simboli, sono una dimensione fondamentale di un processo capace di discontinuità che ci serve per non farci sfuggire il futuro.Una nuova identità è fatta di processi, di soggetti, di luoghi: di cose e di nomi.Abbiamo urgenza di cose nuove, e di nomi nuovi per cose nuove.
5. Valori, obiettivi … o soggetti? - Porsi oggi la questione di questa doppia discontinuità non è porsi una questione sui “valori”.E’ questo un altro punto fondamentale. Chiedersi come tornare a crescere vuol dire chiedersi se ci sono in questa comunità locale soggetti che hanno la possibilità di divenire fattori di crescita collettiva. La domanda cruciale, allora, suona più o meno così: ci sono nel tessuto locale soggetti capaci di e interessati a quella discontinuità necessaria alla ripresa della crescita?La discontinuità che ci serve non la producono valori, se non incarnati in soggetti, mentre è illusorio elencare obiettivi senza indicare soggetti capaci di conseguirli. La ricerca di questo tipo di soggetti è la strada per comporre l’agenda che vogliamo condividere.Perciò, l’aspetto di questa agenda sarà quello di una lista di “nomi e cognomi”.
Una domanda non indolore per la ChiesaSiamo consapevoli che un approccio alla crescita basato sui soggetti e non sui valori mette in crisi prassi e cultura ecclesiali.La Chiesa diocesana, e le organizzazioni di cui è fatta, sovente non hanno saputo cogliere in profondità, i segni delle difficoltà, le richieste di aiuto, l’urgenza di un pensiero nuovo. Lo dicono gran parte delle ricerche svolte in questi ultimi anni aulla realtà della nostra diocesi. Generosità, dedizione alla carità ed all’impegno contro l’esclusione sociale, ma poca attenzione ai processi economici, derive cultualistiche, poca confidenza con l’idea che la competizione è uno strumento per produrre bene comune.
Una domanda non indolore per tutti i gruppi dirigenti Più in generale, un approccio basato sui soggetti mette in difficoltà i comportamenti prevalenti tra tutti i gruppi dirigenti.Il comportamento innovatore, per definizione comportamento deviante, soffre del troppo consenso. Il consenso da cui spesso siamo ossessionati è una risorsa costruttiva solo se è il frutto di una competizione. La coesione diviene con facilità mero controllo se non è innervata da quella fiducia reciproca che si esprime nel confronto e nella competizione tenace e leale.Non c’è vera ‘coesione sociale’ se non c’è fiducia. Non c’è coesione sociale dove c’è scarsa cooperazione non interessata, scarsa disponibilità al dono, scarsa densità associativa. Ad esempio – come da sondaggio –, anche a Terni la fiducia dei cittadini per i partiti politici in una scala da 1 a 10 supera a stento la il valore 4. La fiducia è un perno del cosiddetto ‘capitale sociale’ ed una recente importante ricerca sociologica nazionale ci dice che Terni è al 47° posto (tra le ultime aree del centro-nord) nella graduatoria nazionale della dotazione di capitale sociale. La dotazione di capitale sociale di Perugia è doppia rispetto a Terni, e – sempre rispetto a Terni –quella di Lucca è cinque volte, sei quella di Mantova, sette quella di Parma. Ciò nonostante, in questi anni non sono neppure mancati idee e progetti, anche fortemente innovatori. Imprenditori, segmenti di gruppi dirigenti, alcuni intellettuali ed alcuni artisti, associazioni culturali, organizzazioni religiose, hanno tentato, e tentano, la strada del cambiamento. Una parte del cammino è stato già percorso, non dobbiamo dimenticarlo. Se questa comunità fosse blindata e soddisfatta non saremmo oggi qui. L’invito della Chiesa diocesana ha solo catalizzato processi, già avviati, magari con timidezza.Ma, evidentemente, ancora non basta.
6. Una fase costituente - Non dobbiamo avere timore di riconoscere il valore più profondo di quanto avviene se insieme e pubblicamente assumiamo la responsabilità di guardare a cose nuove in modo nuovo.Guardare con franchezza alle difficoltà della nostra comunità locale e interrogarsi sulla ripresa e sulla crescita, come abbiamo detto, significa porsi il problema delle istituzioni che danno forma alla nostra città. Non solo di quelle che hanno uno statuto ed un palazzo, ma anche delle altre che vivono – come le prime del resto – nei comportamenti individuali e dei gruppi. Porsi il problema della possibilità di una ripresa per la nostra comunità locale è porsi un problema di poteri e di relazioni. È porsi un problema costituente. È darsi, tutti insieme, un obiettivo costituente.
L’appello dei soggettiCome detto, l’interrogativo che genera l’agenda di cui abbiamo bisogno chiede se ci sono tra noi soggetti capaci di e interessati a quella discontinuità che è necessaria alla ripresa della crescita.Realisticamente, a questa domanda si può dare una risposta affermativa.È ora di fare un esempio.
Un soggetto capace di futuroLa Thyssen Krupp-Acciai Speciali Terni è un soggetto capace di crescita. Una condizione per affrontare con successo la sfida della rigenerazione della nostra comunità locale è intensificare il legame tra TK-AST e Terni.La TK-AST non è più la vecchia acciaieria delle Partecipazioni Statali, ma è oggi luogo di innovazione e di qualità, con ampi anche se non garantiti margini di crescita. La siderurgia non è più, da tempo, la cassaforte della struttura occupazionale della città e del territorio. E’ invece sempre di più un centro di eccellenza nei processi, nella ricerca, nella cultura imprenditoriale, nello sviluppo di mercato. TK-AST dispone di un capitale umano qualificato, rinnovato e flessibile, e di risorse manageriali consolidate.Puntare su questo soggetto, non per deferenza ma per schietto interesse, significa impegnarsi tutti, ciascuno a modo proprio, per consentire che Terni si affermi definitivamente come centro di eccellenza nella produzione degli acciai speciali e del loro utilizzo. Occorrono scelte coraggiose. La questione energia è l’esempio migliore per capire cosa implica puntare su questo soggetto.Il rapporto tra TK-AST e il territorio è cruciale anche perché genera stimoli competitivi per lo sviluppo di professionalità e di reti locali di fornitura di beni e servizi. TK-AST significa sviluppo e consolidamento di processi di ricerca, di relazioni con l’Università e con l’intero sistema locale dell’istruzione e della formazione.Non dobbiamo mai dimenticare come in questi settori industriali nulla va dato per scontato o acquisito per sempre. La razionalità economica delle scelte di una multinazionale è costantemente soggetta alla comparazione internazionale. Contano i vantaggi competitivi offerti dai singoli territori.Questi vantaggi dobbiamo mantenere, coltivare e sviluppare per non perdere la TK-AST. Ora la abbiamo, pochi la hanno, potrebbe sfuggirci, dobbiamo mantenerla e farla crescere per crescere insieme.
7. Priorità per una agenda - Ecco, a nostro giudizio, questo è il primo elemento di una agenda di priorità. Discutibile, naturalmente, ma è un buon esempio di ciò che deve comporre una realistica agenda per la ripresa, oggi. Una agenda di priorità per la crescita è fatta di punti come questo. Dobbiamo essere realisti ed evitare un rischio molto forte: fare di questa agenda di priorità un fragile serbatoio di idee per una prospettiva volontaristica. Sappiamo che lo sviluppo locale non dipende solo da fattori locali. Nelle nostre mani è però certamente una parte del nostro futuro. Dobbiamo conoscere quali sono le carte che abbiamo in mano e decidere come giocarle.Allo stesso tempo, dobbiamo saper distinguere l’agenda dai programmi. Una agenda non è un programma. Ma se condividiamo una agenda possiamo discutere meglio di programmi alternativi. Se una comunità condivide una agenda gli attori pubblici sono incentivati, quasi obbligati, a produrre programmi. Se c’è una agenda condivisa, i cittadini – gli unici titolati a farlo – scelgono meglio, volta per volta come consumatori o come lettori, come fedeli o come elettori.
Un’agenda che scompagina È già solo per questo motivo che la definizione di una agenda pubblica di priorità produce una crisi negli equilibri consolidati, nei gruppi dirigenti locali e tra i gruppi dirigenti locali.Una agenda condivisa è una condizione per attivare dinamiche di competizione e di ricambio dentro e tra i gruppi dirigenti di ogni genere, politici ed economici, giornalistici ed universitari, perfino ecclesiali. Una agenda condivisa può servire anche ad attivare un indispensabile ricambio, non necessariamente anagrafico ma certamente generazionale. Le sfide sono nuove. Occorrono nuove generazioni.Solo se competono, i gruppi dirigenti locali divengono più autonomi, nei confronti degli altri gruppi dirigenti locali e nei confronti dell’esterno. In politica, ad esempio, il ricambio dei gruppi dirigenti locali è spesso frenato dalla ancora debole personalizzazione istituzionale delle posizioni di governo locali. Essa è una risorsa per l’innovazione. La personalizzazione e l’apertura nella competizione per la leadership nei partiti politici sono fondamentali fattori di ricambio. Il peso degli apparati burocratici e, più recentemente, l’eredità delle burocrazie di partito sopravvissute (insediatesi in nicchie di pubblica amministrazione locali o sommatoria di relazioni particolaristiche) riducono – viceversa – il potenziale di cambiamento, e rendono vischiosi e inconcludenti i processi di decisione. Nessun ricambio efficace dei gruppi dirigenti passa invece per la frammentazione localistica e personalistica dell’offerta politica.
Che scompagina anche il movimento cattolico Non saremmo però onesti se tacessimo che lo stesso movimento cattolico e le stesse esperienze di cattolicesimo politico locale non sempre sono state all’altezza di queste esigenze.Chi ha “fatto politica” non è stato sempre attento all’efficacia collettiva della sua azione.Chi “ha fatto” e chi “non ha fatto politica” è stato spesso tiepido verso il valore della competizione. Spesso è mancato un adeguato impegno educativo ad essere esigenti verso chi assume pubbliche responsabilità. Sovente si è finiti in un depistante appello ai valori. Nella vita pubblica, i valori non sono presenti attraverso il suono dei loro nomi, ma attraverso l’impatto che hanno sulle decisioni.Alla fine della esperienza della Democrazia Cristiana, legata ad un tempo politico per cui non c’è ragione di avere nostalgia, non sono seguiti significativi e generali miglioramenti nella efficacia dell’agire politico dei cattolici nel nostro territorio. Nel movimento cattolico locale non sono mancate né mancano significative esperienze di analisi e di iniziativa sociale e politica, ma in generale non possiamo neppure dire che la “società civile cattolica” sia stata di molto migliore dei “politici cattolici”. L’invito di questo convegno è così anche invito all’inizio di un’opera di rinnovamento del movimento cattolico e dell’impegno dei cattolici in ogni settore sociale. Ed è anche invito a superare la latitanza del “laicato cattolico” dalle responsabilità pubbliche. Non è il clero a dover rappresentare la Chiesa ed i cattolici in politica, ma semmai il “laicato” a doverne interpretare le ragioni. Né per i cattolici e per la Chiesa il contenuto politico primario è costituito dagli interessi ecclesiastici, ma dal bene possibile per la città. Neppure per il movimento cattolico locale, dunque, è un compito indolore prender parte ad una responsabilità comune per il futuro della città.
Prendere e lasciare: tre domandeCiò di cui siamo in cerca, una agenda per la crescita, deve saper indicare punti di forza, soggetti capaci di crescere ancora e di attivare un’area più vasta del tessuto cittadino, e blocchi e vincoli di cui liberarsi. Deve essere una agenda che somiglia alla bisaccia di chi sa rimettersi in cammino: leggera, con l’essenziale, la bisaccia di chi sa prendere ciò che vale e lasciare ciò che impedisce.Una agenda per la crescita deve saper rispondere ad almeno tre domande.Ci sono soggetti capaci di far crescere la produzione e l’offerta di beni e di servizi?C’è modo di fronteggiare il declino demografico della città e dell’area?Possiamo disattivare le regole consensualistiche che rendono sterili molti “tavoli” locali?
Rispondendo a questi interrogativi abbiamo individuato cinque “cose” da prendere e cinque “cose” da lasciare.
8. Soggetti capaci di crescita - Prendere / 1: la TK-ASTL’abbiamo già detto. TK-AST è il nodo primario di un sistema produttivo locale che va difeso e va reso più ricco e complesso. L’TK-AST va fatta crescere come motore di un sistema più vasto, che c’è, ma deve diventare più intenso e più capace di valore aggiunto. Pensiamo alla siderurgia, alla chimica, al tessuto delle piccole imprese, alla relazione tra impresa e università e all’industria culturale. I soggetti ci sono. Alcuni sono forti, altri vanno aiutati a crescere.Il sistema ternano-narnese della chimica – che vede esso stesso una presenza importante e positiva di multinazionali – ha continuato ad investire nell’impiantistica. Dal punto di vista ambientale la situazione di questo settore è significativamente meno compromessa del resto della realtà nazionale. C’è un capitale umano ricco. Si possono sviluppare sinergie con altre realtà nazionali e con altre filiere produttive.Ma le grandi imprese industriali, seppure protagoniste di primo piano in qualsiasi scenario di crescita della nostra area, non costituiscono, da sole, un sistema economico. Questo, per strutturarsi, ha bisogno di un folto numero di piccole e medie imprese distribuite in un ampio spettro di settori e di professionalità. Gli spazi dell’integrazione tra imprese, grandi e medio-piccole, industriali e terziarie, sono ancora oggi in larga parte da esplorare nella nostra economia, al di là delle semplici e consolidate relazioni di fornitura di servizi a basso valore aggiunto. Abbiamo un ricco serbatoio: 200 PMI nel settore meccanico; 50 PMI in quello chimico. Da questo punto di vista c’è bisogno che gli imprenditori ternani rendano sempre più matura, anche nelle varie forme associative, la consapevolezza di questo loro ruolo insostituibile, senza il quale non può esserci crescita duratura e sostenibile ma solo suoi deboli palliativi.L’Università è uno degli ingredienti fondamentali per la ripresa della crescita. Ma l’università che serve al nostro sviluppo non è quella di un’offerta didattica purchessia. L’università serve se inserisce nel sistema ed anche nel sistema produttivo la sua capacità di ricerca, e fa scambio con gli altri attori in un quadro di rapporti privato-privato e non pubblico-privato. Gli imprenditori a volte pensano che l’innovazione si possa gestire all’interno mentre la sua complessità richiede un attore specialistico e flessibile. Noi tutti però dobbiamo chiederci seriamente cosa impedisce all’università che sta a Terni di aspirare ad una maggiore autonomia ed ad una maggiore capacità di ricerca?E infine l’industria culturale, via privilegiata alla rigenerazione e alla reinvenzione delle vecchie città industriali. Lo vogliamo sottolineare: la cultura non è solo un bene di consumo. È un settore produttivo. In questo quadro la cultura stessa deve diventare fattore di sviluppo economico ed industriale, perché lo può. Certo, anche a questo proposito dobbiamo farci qualche domanda. Cosa ha impedito al CMM spa di essere un’azienda di successo? L’idea di business? L’assetto azionario? La qualità del management selezionato dall’azionista? L’ingerenza della politica? Si ha la netta sensazione che la vicenda del CMM spa rappresenti una specie di manuale di cose da non fare.
Prendere / 2: L’azienda ospedalieraUn secondo grande soggetto capace di crescita presente sul nostro territorio è l’Azienda ospedaliera. E che un’importante Azienda ospedaliera sia da considerare un fattore di sviluppo locale è ormai un dato accertato. Questa convinzione poggia almeno su tre considerazioni. Il contributo che l’azienda offre alla cultura tecnologica e scientifica della comunità di cui fa parte; le sue dimensioni occupazionali; il contributo che può dare alla crescita dei processi immateriali dello sviluppo locale.Il sistema sanitario locale è un fattore di sviluppo e non solo un fattore di promozione sociale. L’Azienda ospedaliera può, e dunque dovrebbe, crescere ancora. Certo, deve abbandonare una cultura aziendale poco propensa a sperimentarsi su modelli realmente innovativi. Deve godere di una stabilità del management che competa con la forza delle inevitabili inerzie burocratico-amministrative. Deve poter valorizzare le eccellenze, anche in competizione virtuosa con il mondo universitario.Infine, l’Azienda ospedaliera deve essere liberata dall’invadenza della mano politica regionale che la indebolisce rispetto alle aziende concorrenti.
Prendere / 3: la “macchina” della amministrazione comunaleUn terzo grande soggetto dotato di enormi potenzialità è quello delle nostre amministrazioni comunali. Sono ricche di risorse umane, hanno competenze strategiche, meritano una gestione più efficiente e più innovativa.Le pubbliche amministrazioni locali non sono al servizio di chi vi trova un lavoro o di chi ne ricopre gli incarichi politici di vertice. Non possono neppure essere ostaggio delle organizzazioni sindacali del pubblico impiego.Le pubbliche amministrazioni locali debbono diventare una delle eccellenze di Terni, di Narni e del nostro territorio. Occorre dunque più efficienza. Questi traguardi non possono essere raggiunti se non accettando cambiamenti radicali e valutando la redditività delle risorse pubbliche investite. Certo, molte sono le questioni da prendere in carico. La prima, la più difficile. La vischiosità del sistema pubblico di relazioni sindacali a Terni. E il conseguente dilagare dei poteri di veto. Perché non pensare ad un livello territoriale di contrattazione nel quale sperimentare l’innovazione con una parte datoriale più forte perché più unita?Ma le amministrazioni locali, quella di Terni in primo luogo, possono liberare un volume, straordinario e strategico di risorse anche privatizzando laddove più conveniente per la collettività. Vi sono aziende pubbliche controllate dalla politica locale che hanno drenato risorse e fatto naufragare opportunità. Del CMM abbiamo parlato. Il caso della Azienda Farmaceutica è all’ordine del giorno. Ci costa un’enormità e non ci consente politiche che i ricavi della sua privatizzazione invece garantirebbero. Ex municipalizzate multifunzione, altrove fattore di crescita e fonte di profitto, qui vivono in condizioni tutt’altro che esaltanti. Le aziende di servizio pubblico debbono invece conseguire risultati di indiscussa qualità. E procedere sulla via della fusione in vista del raggiungimento di standard dimensionali più efficienti.Le “macchine” comunali sono una grande risorsa collettiva, sia per le grandi energie che possono rimettere in circolo sia perché possono diventare centri propulsori della crescita. Lasciare / 1: la irresponsabilità educativaIl nostro territorio ha una grande tradizione, forse un poco appannata, nel campo dell’istruzione e della scuola. Le scuole del nostro territorio godono di un grande capitale di fiducia da parte della città. Lo dicono i dati del nostro sondaggio. Eppure abbiamo la sensazione come di un grande processo di rimozione.Il riflesso locale di processi sociali più ampi si somma alla attenzione non sistematica e convinta delle altre istituzioni sociali del nostro territorio nei confronti della scuola. Sono le famiglie stesse ad essere prese in una spirale perversa che le rende poco esigenti nei confronti della offerta di istruzione.Occorre uno sforzo corale. Ciascuno deve fare la sua parte. Gli attori locali hanno uno spazio di manovra considerevole, al di là dello strapotere ministeriale o della negativa eredità del “sessantotto” ancora viva in settori del corpo docente.Le scuole debbono usare sino in fondo la loro autonomia. La città deve usare sino in fondo tutte le risorse finanziarie di cui dispone o, come abbiamo appena visto, di cui potrebbe disporre per sostenere questa autonomia, per rendere la competizione generata dall’autonomia una competizione virtuosa e non una deteriore forma di dumping scolastico. A ciò può servire anche l’aumento del numero e del tipo degli attori della offerta scolastica e formativa, a patto che sia di qualità.Scuole di qualità rendono la città attrattiva, influenzano le scelte residenziali delle famiglie, costruiscono capitale sociale, alimentano un tessuto istituzionale favorevole alla promozione della creatività, producono integrazioni e contrasto all’esclusione sociale.Esattamente ciò di cui Terni e il nostro territorio hanno bisogno.Sin qui avevamo indicato tre “cose” meritevoli di essere conservate. Una diffusa non adeguata attenzione pubblica nei confronti della istruzione scolastica è al contrario una prima “cosa” di cui liberarci al più presto. La scuola è sempre un servizio pubblico, anche quando non è gestita dallo stato.
Prendere / 4: una diffusa capacità di integrareCon noi dobbiamo portare anche qualcosa, solo in apparenza impalpabile, che è della comunità locale tutta insieme. Qualcosa di straordinario, di cui questa comunità è stata capace negli ultimi 150 anni.Terni è da un secolo città di immigrati: ha accolto ma ha anche saputo integrare. Oggi la sfida è nuova, gli immigrati vengono da più lontano, ma per un certo verso è una sfida fatta degli stessi ingredienti di sempre. Vivere le differenze non come minaccia non significa rinunciare a produrre processi di integrazione e, per quello che risulta indispensabile, anche di assimilazione. In passato Terni ne è stata capace, può esserlo ancora. Le raccolte di firme di questi ultimi mesi sottolineano problemi reali ma non esprimono la cultura e la forza che per 100 anni hanno fatto crescere Terni.Per ora, fortunatamente, la gran parte della opinione pubblica non ha “abboccato” al tranello. La larga maggioranza dei ternani non confonde preoccupazione per la sicurezza e preoccupazione per la immigrazione.Tutta la rete delle relazioni sociali che produce integrazione, questo capitale sociale che “lega”, che unisce, va coltivata e rafforzata.Ma gli studi ci dicono che c’è un gruppo di formidabili politiche per l’integrazione: le politiche della offerta formativa rivolta all’infanzia, elemento che ci collega anche alla priorità precedente. La scuola è veicolo di integrazione e moltiplicatore di opportunità. Alcuni dati ci fanno riflettere. La presenza bambini/e e ragazzi/e con cittadinanza non italiana nelle scuole ternane (8,4% contro il 5,8% in Italia) segnala la scelta di famiglie di immigrati di inserirsi stabilmente nel nostro territorio, di far nascere e far crescere qui i loro figli/e. Questa realtà rappresenta nei fatti una inattesa e fortissima dichiarazione di fiducia e un’altrettanto inattesa e fortissima domanda di ospitalità e di futuro. A Terni le scuole per l’infanzia e quella primaria manifestano forti segnali di segregazione scolastica che riflette la segregazione residenziale e produce ghettizzazione. Nelle scuole per l’infanzia di Terni, ad esempio, la presenza di bambini di cittadinanza non italiana varia, nei diversi circoli, da un minimo del 2% ad un massimo del 28%.Con dati come questi occorre fare i conti. La nostra tradizionale capacità di benevolenza e di accoglienza deve essere rafforzata da servizi e strumenti idonei, soprattutto ai bambini/e e ragazzi/e. Un’istruzione elevata e di buona qualità, offerta oggi migliora la popolazione di domani, aumenta la sua consapevolezza, riduce i comportamenti devianti e irresponsabili, ne migliora lo stato di salute, riduce le spese assistenziali, migliora la capacità di accedere ai servizi.… ma intanto dobbiamo dire grazie alla stragrande maggioranza di queste nuove amiche e di questi nuovi amici che, come le generazioni di ternani che ci hanno preceduto, vengono da lontano e ci portano un po’ di futuro.
9. Fronteggiare la questione demografica - Lasciare / 2: la disattenzione ai processi demograficiIl bilancio demografico aggregato dei comuni della diocesi di Terni Narni Amelia negli anni 2002-05 mostra un costante saldo naturale negativo. Un saldo compensato da un più ampio saldo migratorio positivo, tale da determinare un aumento della popolazione. Il saldo migratorio ha una provenienza prevalentemente dall’estero. Anche questi fenomeni già sottolineati in sede di Conferenza economica cittadine (2006).L’immigrazione si è affermata quindi come un fenomeno strutturale di questi anni anche nel nostro territorio. Al momento, ferma il declino demografico ma non riequilibra la struttura demografica per età della popolazione. Per far fronte a questo genere di difficoltà dobbiamo percorrere anche altre strade, per quanto da sole ma risolutive. Dobbiamo liberarci dalla disattenzione pubblica per i processi demografici: anche in questo l’opinione pubblica ternana sembra più lucida dei gruppi dirigenti.Oltre al sostegno di politiche e comportamenti di integrazione della immigrazione straniera, possiamo sondare almeno due altre possibilità. Per un verso, Terni e tutta l’area locale, per le sue dimensioni, per le sue qualità ambientali, per i suoi collegamenti, per i suoi servizi, può offrirsi come approdo al movimento di rilocalizzazione delle famiglie per varie ragioni in uscita tanto dalle aree metropolitane quanto da quelle marginali e neomarginali. Per altro verso occorre sbarazzarsi della coltre di silenzio pubblico sulle difficoltà delle famiglie locali evidenziate da livelli di natalità assai bassi, certamente non imputabili a una spiccata presenza femminile nel mercato del lavoro che, come è noto, rimane anzi al di sotto di quella che si registra a Perugia o in molte altre aree del paese.
10. Disattivare le prassi consensualistiche - Lasciare / 3: vecchi “stili di regia”Tra le cose che non dovremmo portare con noi ci sono i modelli di comportamento consensualistico che strutturano alcune importanti sedi del tessuto cittadino. A Terni ci sono sedi che in altre aree italiane, anche medio-piccole, fungono da laboratori strategici o per lo meno da sedi in cui i gruppi dirigenti si sfidano pubblicamente e secondo regole. Ma, a Terni, in queste sedi prevale la ricerca della mediazione ad ogni costo, verso l’interno e verso l’esterno. Per questa via diminuisce o si spegne l’apporto strategico alla comunità locale.Non possiamo accontentarci di istituzioni che funzionano al di sotto del loro potenziale. Ciò di cui abbiamo bisogno è valorizzarle, liberale, restituirle alla propria vocazione strategica. Pensiamo alla Fondazione CARIT ed alle sue politiche di impiego delle risorse. La tendenza a disperdersi in mille piccoli interventi forse fa consenso e coesione, ma non fa azione strategica. Una realtà come la Fodazione CARIT, come già simili fondazioni in tante altre parti d’Italia, potrebbe competere ben altrimenti per la leadership strategica. Non dimentichiamo, per dare una misura, che il budget annuale di Fondazione CARIT è 3 volte superiore al budget annuale dei trasferimenti del Comune di Terni nel campo della cultura.Pensiamo alla Camera di Commercio Industria ed Artigianato. Si tratta di un potenziale straordinario di saperi e di interessi, se messo in relazione alle dimensioni della nostra area. Per il grande pubblico esso non appare come potere autonomo rispetto alle altre istituzioni locali. Al contrario, potrebbe e dovrebbe esserlo, dovrebbe funzionare da arena in cui con lealtà e trasparenza si sfidano diversi soggetti, diverse alleanze di interessi per diverse opzioni strategiche. Prima che a chi dirige la istituzione, è ai soggetti presenti al suo interno che va chiesto di più, più strategia e più agonismo.Insomma, per liberare le capacità strategiche dei gruppi dirigenti serve liberare istituzioni come queste.
Lasciare / 4: vecchi sistemi di orientamento territorialeTroppo piccoli per contare e troppo soli per competere. Terni, Narni e tutto il nostro territorio hanno bisogno di fare sistema con alcuni dei territori contigui. Con lucidità e spregiudicatezza.Vale la pena di abbandonare per sempre i vecchi miti. Da quello della piccola dimensione come culla del buon vivere a quello della “città regione”, mito dirigista e centralista. Occorre liberarsi degli accordi imposti gerarchicamente e procedere ad un rimescolamento dal basso. Occorre “contrattualizzare” le relazioni tra i territori anziché sottoporle alle regole della “gerarchia”.Occorre prendere sul serio la questione della relazione con l’area metropolitana di Roma. L’opinione pubblica ternana l’ha capito meglio dei ceti dirigenti. La metà dei ternani pensa che la relazione con Roma sia decisiva per il futuro di Terni. C’è un grande futuro per le città di media dimensione che riescono ad entrare in relazione con grandi aree metropolitane territorialmente contigue, purché godano di connessioni infrastrutturali efficienti. Un collegamento ferroviario decente ed efficiente con Roma può essere per la nostra comunità locale un fattore fondamentale di sviluppo economico, culturale e demografico. In questa direzione c’è futuro, ma patto che la relazione con l’area metropolitana sia vissuta, in un certo senso, come competizione.Un discorso analogo andrebbe fatto infine sulla opportunità di provare almeno ad agganciare la direttrice adriatica di sviluppo, la principale corrente dinamica a sud della via Emilia, a noi così vicina, da noi così ignorata. Al di là dei poli romano e fiorentino, c’è un’area vasta dell’Italia Centrale che ha interessi comuni e che attende di essere catalizzata, non per chiudersi ma per uscire insieme dall’angolo. Chi si muove per primo ha una maggiore possibilità di guidare il processo. In questo, Perugia appare frenata da illusioni di primato dalle quali noi siamo liberi.
Lasciare / 5: la debole capacità di sfidare la leadership peruginaMa non basta ancora. Occorre un altro atto di chiarezza.Una ripresa della crescita di Terni e della nostra comunità locale mette in discussione il primato dei gruppi dirigenti perugini. Non conviene far finta di non saperlo: né a noi, né a loro.Nessuno scandalo: le risorse in palio sono scarse e dunque contese. Nessuna ipocrisia: nell’arena regionale una Terni più forte, insieme a Narni e al nostro territorio nel suo complesso, creano non poca ansia. Le vicende dell’università, della ricerca, delle politiche per la cultura, della sanità lo dimostrano ampiamente.I dati fanno pensare e dovrebbero far scegliere. I trentotto anni di Regione sono stati per Terni anni di arretramento relativo rispetto a Perugia. E anche i gruppi dirigenti ternani (politici e non solo) oggi sono meno forti rispetto a quelli perugini di quanto non lo fossero allora.Il nodo è chiaro. Una Regione fatta per province avvantaggerà sempre Perugia. Una Regione fatta per città, ad esempio, può mettere le cose in modo molto, molto diverso, a cominciare dalla logica della nuova legge elettorale regionale, di cui bisognerà prima o poi discutere, a cominciare dalle regole di organizzazione interne ai partiti (di centro-destra e di centro-sinistra), le quali – dopo aver assistito alla sfida vera tra Barack Obama e Hillary Clinton – appaiono davvero ferme all’ “età della pietra”. Terni non ha alcun interesse a mettere in discussione la Regione. Anzi, per una realtà così piccola come l’Umbria, la Regione è un immeritato vantaggio regalato dal passato. Terni non ha alcun diritto a biasimare il comportamento dei gruppi dirigenti perugini. Ma proprio per questo ha il diritto di sondare la strada di possibili alleanze con tutte le altre comunità locali umbre per una rinegoziazione dei rapporti di forza istituzionali, nella politica e altrove.
Prendere / 5: una comunità più grande (che già c’è)La nostra comunità locale deve crescere. Deve tornare a crescere in ogni senso, anche per avere più peso sui tavoli negoziali esterni. Ma se non pigliamo sul serio noi per primi questa esigenza, perché dovrebbero farlo altri?Terni, Narni e gli altri comuni della “conca” sono il centro di quello che l’Istat chiama un “sistema locale del lavoro” comprensivo di 18 comuni (in due regioni e tre province), in cui risiedono circa 185.000 persone, quasi il doppio dei 109.000 ternani. Questo sistema è dunque qualcosa di ben più “reale” dei nostri a volte un po’ comici confini amministrativi.I cinque comuni della “conca ternana” sono uniti nella realtà socio-economica, ma anche storica, culturale ed ambientale, ed a volte artificialmente separati da disfunzionali confini amministrativi che fanno sprecare opportunità. I loro 140.000 abitanti corrisponderebbero oggi virtualmente al 28° comune italiano per popolazione, mentre da sola Terni è al 40° posto. Insieme arrivano all’86% della popolazione di Perugia (Terni da sola è al 68%).Se – rimanendo ben dentro i confini dello stesso SLL – a questi cinque comuni aggiungiamo la primissima cerchia di comuni limitrofi, si arriva alla soglia di 158.000 abitanti: il 98% di quelli di Perugia, un valore che virtualmente occuperebbe il 25° posto nella graduatoria dei comuni italiani, ed il 6° tra quelli dell’Italia Centrale.Attenzione: il punto non è quale realtà dare al sogno di una Terni “più grande”, ma quale rappresentazione istituzionale dare a questa realtà sociale, culturale ed economica. Neppure Terni basta a Terni.L’incremento della massa critica della città è un potente fattore di sviluppo. Pensiamo ad un’unica grande area nella quale sperimentare l’efficacia della cooperazione tra tutte le istituzioni sociali, a partire da quelle che fanno capo ai governi locali, utilizzando con creatività gli strumenti giuridici esistenti. Come dire: a legislazione invariata. E’ una proposta nuova, contrattuale, dal basso, in alternativa alle forme dirigiste della pianificazione gerarchica, a qualsiasi livello si manifestino.Un primo obiettivo: definire un piano strategico di area, a partire da una ottimizzazione della risorsa territoriale. Un primo passo: la sottoscrizione di un patto di consultazione di area.Un primo tema: nello sviluppo di una “più grande” area territoriale, il suo aspetto e la sua forma fisica non sono questioni secondarie. Il paesaggio è uno degli elementi su cui si fonda e si riconosce l’identità di una comunità. Per poter crescere mantenendo ciascuno la riconoscibilità della propria specificità ambientale è necessario modificare le politiche di sviluppo territoriale nella prospettiva della sostenibilità.Naturalmente si potrebbe andare ancora oltre … Può sembrare un sogno. In molte aree del paese e dell’Europa è una realtà di successo.L’incerto futuro della istituzione provinciale e la necessità di sfidare la leadership perugina conferiscono a questa idea ulteriore valore.
11. Una agenda possibile, una agenda “corta” - È il momento di tracciare una linea e tirare una somma.Per un verso abbiamo scovato cinque “cose” da portare con noi: cinque soggetti capaci di sviluppo.· Il patrimonio industriale della città, a partire dal nodo che ne garantisce un nesso forte con i servizi avanzati, la ricerca, l’Università, l’industria culturale. · L’Azienda ospedaliera.· Una “macchina” comunale da valorizzare semplificandola, riducendola, sofisticandola.· La capacità di integrare della nostra comunità, da sostenere innanzitutto con una coerente offerta scolastica di primissimo livello.· Il potenziale sistemico ed aggregante di una più grande comunità locale. Per altro verso abbiamo messo a fuoco cinque “cose” da abbandonare, di cui liberarci perché ci ingessano.· Lo scarso impegno della città per il sistema dell’istruzione. · La diffusa disattenzione per lo stato delle dinamiche demografiche.· Le regole consensualistiche che immobilizzano alcune delle arene cittadine.· La sottovalutazione delle reti territoriali.· La scarsa capacità di sfidare la leadership perugina.
«Tutto qui?» ci si potrebbe chiedere.Sì, tutto qui.Volevamo una agenda realistica. L’effetto di incompletezza che questa lista può dare è un buon effetto.
12. Conclusioni - La nostra comunità locale ha ancora modi e risorse per lavorare al proprio futuro. Per fornire più opportunità alle persone, per aumentare i beni collettivi, per attrarre talenti.Si tratta, lo sappiamo tutti, di un lavoro che ha un costo alto, richiede l’impegno di molte persone, un impegno civico che ha un evidente aspetto di diseconomia: produce beni di cui si avvale anche chi non si è impegnato per produrli.Le ideologie, le illusioni di «magnifiche sorti e progressive», hanno a lungo truccato i conti della partecipazione civica. Ora siamo tornati a poter guardare con lucidità alla diseconomia individuale dell’impegno civico.Quanto vale, quanto merita «l’onesto e retto conversar cittadino, e giustizia e pietade»?A questa domanda, propriamente etica, sono ammesse solo risposte personali. Essa sì non può essere materia di responsabilità comune. Non possiamo conoscere mai la risposta altrui, e meno che mai obbligare ad una risposta positiva.Possiamo però riconoscerla, la risposta positiva, quando avviene, magari inattesa ed imprevedibile (cfr. Mt 25).Chi crede in un Altro, riconosce allora di condividere con chi non crede che il trovarsi di fronte ad un altro/a è la sfida decisiva per la vita.Chi crede in un Domani, condivide con chi non ci crede il carattere decisivo dell’oggi.Questo condividere è anche condividere un inter-esse che prende la forma pubblica di città.La cura di un «onesto e retto conversar cittadino» non è un obbligo e non è neppure tutto, ma se siamo appassionati di umanità intanto può bastare.
Luca Diotallevi