HOME non è mai politica attuale la parola dei profeti disarmati, ma in un popolo ci vogliono i politici attuali e i politici inattuali, e se i primi sono giudicati savi e i secondi matti, ci vogliono i savi e ci vogliono i matti, e guai ai popoli che hanno solo i savi perché spetta di solito ai matti porre e coltivare i germi della politica avvenire (B. Croce)
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Grandi menti parlano di idee, menti mediocri parlano di fatti, menti piccole parlano di persone. (E. Roosevelt)

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martedì 30 settembre 2008

Urinare e vomitare sul palcoscenico non è arte

La politica culturale del Comune di Terni non perde occasione per dimostrare la sua inutilità e il suo provincialismo. Lo spettacolo finale di "Es Terni" il "festival del teatro contemporaneo" organizzato dal Comune di Terni, che già dal nome dimostra una grande scarsità di idee, si è concretizzato in performance degli attori che hanno urinato e vomitato sul palco.
Come riportava il programma si voleva far riflettere gli spettatori "sull'importanza di creare qualcosa di cui nessuno ha bisogno": il punto non è lo "scandalo" che provoca lo spettacolo, il punto è l'esatto contrario, cioè che è più di un secolo che di fronte alla chiusura e alla volontà di non capire delle cosiddette società benpensanti, gli artisti sono ricorsi all'utilizzo di urina ed escrementi per scioccare e mettere in crisi questo modo di pensare. Ma oggi che le società benpensanti non esistono più, che in tv e più ancora su internet questi atti sono all'ordine del giorno e non sono più provocazioni, essi non possono più avere alcun contenuto artistico, sono al massimo la trovata furbesca di un autore cronicamente a corto di idee per spillare soldi ad assessori altrettanto a corto di idee e pervasi di provincialismo.
La pietra tombale sulla presunta "provocazione" l'hanno messa gli spettatori che, come risulta dalle cronache, hanno appunto applaudito e non si sono scandalizzati.
Lo scandalo non sta nello spettacolo, lo scandalo sta nel fatto che il comune di Terni non riesce ad esprimere nessuna politica culturale degna di questo nome e finanzia con i soldi dei cittadini cose come questa.
Paolo Cianfoni

domenica 28 settembre 2008

La crisi indotta dalla finanza fine a sé stessa

Molto volentieri ospitiamo un intervento dell'Ing. Marco Benucci, Vicepresidente nazionale dei giovani imprenditori di Confcommercio
Vorrei offrire alcune considerazioni da imprenditore sulla crisi finanziaria internazionale. Per farlo, però, devo fare alcune premesse. Troppe volte – infatti – il grande pubblico confonde i finanzieri con i manager e con gli imprenditori perché troppi personaggi economici assumono comportamenti da finanzieri pur continuando a dirsi imprenditori.Il finanziere opera sui mercati finanziari acquistando e vendendo denaro o prodotti similari quali azioni, obbligazioni e derivati. Scambia cioè denaro con denaro di forma diversa per trarne profitto, preoccupandosi non tanto dell’uso che si fa di tale denaro quanto del tasso di remunerazione dell’investimento operato. Il finanziere – per la natura stessa degli investimenti da lui compiuti – tende a ragionare sul breve termine perché lo scambio di denaro può essere assai rapido.Il manager è, invece, un professionista che deve rispondere agli azionisti circa le proprie decisioni gestionali e che, dovendo garantire – in termini di dividendi – la remunerazione degli investimenti altrui, è costretto a ragionare con orizzonti temporali di breve e medio termine perché l’azionista potrebbe non accettare investimenti i cui ritorni siano differiti troppo avanti nel tempo.L’imprenditore, infine, gestisce un’azienda di cui è proprietario e reperisce e gestisce le risorse necessarie a produrre beni e servizi il cui valore finale sia complessivamente maggiore di quello delle materie prime e delle risorse impiegate. Egli, fatta salva la necessità di garantire la propria sopravvivenza, può ritenere tollerabili orizzonti temporali più lunghi rispetto al finanziere e al manager perché, in definitiva, risponde solo a se stesso ed ai propri soci, cioè a persone che stanno “sulla sua stessa barca”. L’imprenditore può permettersi anche di rinunciare ai guadagni di oggi per lasciare “qualcosa in più” ai figli.Passando ad una analisi storica delle tre figure, possiamo dire che l’imprenditore esiste da quando esiste una qualche forma di civiltà: già nella preistoria il cacciatore si procurava le prede e le scambiava con gli utensili realizzati dall’artigiano e con i prodotti dell’agricoltore. Tutti è tre questi nostri progenitori gestivano un processo produttivo i cui risultati (la cacciagione, gli utensili e i prodotti della terra) avevano un valore superiore a quello degli elementi originari.Il finanziere è nato molti secoli dopo e già da subito traeva la sua unica ragion d’essere nella necessità degli imprenditori di reperire denaro – cioè risorse finanziarie – al fine di consentire lo svolgimento di una produzione ormai troppo onerosa per essere sostenuta solo dalle risorse dell’imprenditore stesso.Il manager è la figura più recente: egli è nato per gestire i soldi di persone che, spesso senza conoscersi, hanno deciso di investire in un’azienda concorrendo al capitale di rischio senza avere le competenze e/o la forza di gestirla direttamente.Come si può comprendere, sia il manager, sia il finanziere sono nati a servizio dell’azienda mentre l’imprenditore è il “padre ed il tutore” nonché parte dell’azienda stessa.Tralasciando il manager e limitandoci ad analizzare il ruolo del finanziere, siamo costretti ad entrare in argomenti più tecnici ma necessari a comprendere la crisi in atto.Si è soliti paragonare l’azienda ad un organismo vivente i cui organi sono i suoi processi. Laddove per processo si intende un insieme di attività correlate o interagenti che trasformano elementi in ingresso in elementi in uscita. La produzione è il più classico dei processi, in quanto trasforma le materie prime nei prodotti finiti che il cliente acquista. Essa genera il cosiddetto valore aggiunto, cioè la differenza tra il valore del prodotto finale ed il valore delle materie prime in essa impiegate.In generale tale valore aggiunto è positivo. Quando ciò non accade, qualcosa non funziona e, sul medio periodo, l’organismo-azienda si ammalerà e morirà. È quanto sta capitando ad Alitalia, un’azienda che eroga un buon servizio il quale, però, non può essere venduto al prezzo necessario per coprire i costi.La produzione, tuttavia, non è il solo processo aziendale; è semplicemente il più importante perché genera valore aggiunto e crea il prodotto o il servizio, quello che – opportunamente scambiato con il cliente – garantisce la remunerazione del rischio assunto dall’imprenditore (o dagli azionisti). Si è soliti individuare altri processi, detti di supporto alla produzione: quello direzionale, che è il cervello dell’organismo azienda; quello commerciale, che propizia lo scambio del prodotto con il cliente; quello di approvvigionamento, che garantisce l’afflusso di materie prime; quello di gestione delle risorse (umane e strumentali), che garantisce la corretta manutenzione dei vari organi di questa strana entità; infine vi è il processo finanziario, che garantisce l’afflusso di denaro necessario a mandare avanti tutti i processi.Al pari di un organismo vivente, l’azienda non può permettersi gravi malattie in nessuno dei suoi processi/organi. Tuttavia dovrebbe apparire evidente a tutti che i cosiddetti processi di supporto, oltre a non generare valore aggiunto in quanto consumano risorse senza creare prodotti o servizi da scambiare con il cliente, trovano la loro ragione d’essere esclusivamente come “sostegno” al processo principale: quello che realizza il prodotto.Credo che, a questo punto, appaia chiara la chiave di lettura che chi scrive dà della crisi finanziaria attuale. Negli ultimi anni, la finanza ha assunto una centralità che non gli è mai stata propria e che ha posto l’azienda in un piano secondario: la produzione non era più la variabile principale ma un’occasione per “maneggiare soldi” attraverso il processo finanziario. Per troppi sedicenti imprenditori (in realtà finanzieri se non, addirittura, speculatori) non conta affatto ciò che si produce ma la compravendita di denaro. In buona sostanza il mezzo è diventato fine ed il fine è diventato occasione.La crisi finanziaria dunque, a mio avviso, non ha radici macroeconomiche (legate cioè alle leggi dell’economia) ma microeconomiche, cioè aziendali. Essa è semplicemente la sommatoria di tante crisi microeconomiche dovute ad un errore culturale gravissimo che – per pura miopia – ha condotto troppi operatori economici a ricercare facili guadagni nella finanza, dimenticando le buone prassi aziendali. Ciò è avvenuto sia nell’industria manifatturiera, sia nei servizi (che comprendono il commercio), sia in molte banche tradizionali.Quella che viviamo non né la crisi del liberismo, né la crisi del mercato, è semplicemente l’effetto della degenerazione di una cultura sbagliata che ha scambiato i mezzi per fini. Nessuna azienda potrebbe sopravvivere a lungo se il processo di approvvigionamento prendesse il sopravvento sulla produzione: essa morirebbe per i magazzini troppo pieni o perché acquista materie prime qualitativamente inutilizzabili. Non si comprende quindi perché si possa sperare di farla franca se si pretende di sottomettere la produzione di beni e servizi alle esigenze della finanza e non viceversa.
Marco Benucci
Vicepresidente Nazionale dei Giovani Imprenditori di Confcommercio

lunedì 22 settembre 2008

Le liste civiche siamo noi


Nell’Italia degli 8000 comuni a ogni tornata elettorale c’è una fioritura di liste civiche di ogni genere. E’ un fenomeno politico importante che non può essere ridotto a una semplice propensione all’individualismo. Certamente alcune delle cause sono poco edificanti, come le iniziative strampalate o i troppo furbi sempre indaffarati a cercare di interpretare “l’ago” della bilancia a qualunque costo, sia che la bilancia debba pesare l’intero schieramento destra-sinistra, sia che, in mancanza di meglio, debba pesare uno solo dei due schieramenti. Ma dietro le liste civiche ci sono anche le esigenze e i sentimenti profondi dei cittadini, come la distanza tra gli elettori e la politica, la percezione di una diversità tra il livello degli esponenti locali e quello dei partiti nazionali ai quali aderiscono, la volontà di “rompere gli schemi”, la priorità della dimensione amministrativa anche sulle adesioni politiche, l’amore per la propria città, la ricerca del cambiamento, la percezione delle emergenze. Le migliori liste civiche sono il risultato di una scelta forte, intima, di grande parte dell’elettorato, cosiddetto di opinione, ma non solo, in favore del buongoverno, della politica del fare.
Il Centrosinistra italiano deve guardare con sospetto a questo fenomeno. Perché le aree occidentali e riformiste del Centrosinistra sono state travolte prima dall’epoca delle inchieste giudiziarie e poi dai machiavellismi indispensabili a tenere insieme la Sinistra estrema con i padroni delle banche, i sindacalismi autolesionistici tipo Alitalia con il mercato, i radicalismi di ogni tipo con i filocattolici, i cattocomunisti, con i veterocomunismi, con i post comunisti, con i rifondatori comunisti, con gli ex direttori de “l’Unità” mai stati comunisti, ecc.
L’incapacità del Centrosinistra di promettere credibilmente il cambiamento e le riforme è evidentissima proprio nelle regioni come l’Umbria dove il ricordo della capacità di governo della Sinistra è, appunto, un ricordo e la prassi di mal-governo del “tassa e spendi” ci regala un numero enorme di dipendenti pubblici, una amministrazione sostanzialmente inefficiente e un gran mucchio di debiti.
E’ per questo che dobbiamo lasciare giustamente la preoccupazione di fronte a questo fenomeno alla Sinistra, mentre noi dobbiamo guardarlo con favore e promuovere e valorizzare questa dimensione locale, basta un po’ di pacatezza e di attenzione nell’analisi per rendersi conto che quelle esigenze e quei sentimenti che chiamiamo “spirito civico” descrivono anche l’identità più vera del Centrodestra italiano.
Cosa sarebbe il Centrodestra senza la priorità del buongoverno? Senza l’aspirazione al cambiamento, alle riforme profonde di tutti i settori dello Stato? Senza la conoscenza, non astratta, non fideistica, delle reali leggi di mercato e la definizione di una politica sociale di conseguenza concretamente ispirata a trarre dal mercato i maggiori benefici per la comunità proteggendo efficacemente i più deboli? Senza l’aspirazione alla modernizzazione del Paese? Senza il rapporto leale Stato – cittadino che presuppone e discende dal federalismo fiscale? Senza l’amore per le tante singole città e per il complesso della Nazione intesa come Patria? Cosa sarebbe il centrodestra senza la “politica del fare”?
La “politica del fare” è uno dei tratti essenziali dell’identità del Centrodestra che più evidenzia la vicinanza con lo spirito civico e la lontananza con la sinistra parolaia. Questo carattere volto alla concretezza che non è solo metodo, ma anche contenuto, definisce una continuità ideale e di approccio tra il Centrodestra e le tante espressioni dello spirito civico.
Allora nell’immaginare e realizzare una politica locale del PdL basterà avere l’accortezza di rendere comprensibile sul territorio la nostra identità, coniugandola con i temi propri delle liste civiche, che sono i nostri temi, perché le liste civiche siamo noi.

Paolo Cianfoni

(foto tramonto con chiesa autore la_sonix fonte flickr)

lunedì 8 settembre 2008

C'è una storia

C'è una storia del Centrodestra ternano dimenticata anche dagli stessi esponenti del Centrodestra. Sembra quasi che le persone che hanno collaborato e determinato tra il 1993 e il 1997 una grande ed esaltante esperienza politica, oltre che una eccezionale stagione di rinascimento della nostra città, non vogliano ricordare o, peggio, abbiano subito gli eventi senza interrogarsi sulle reali cause e le reali dinamiche. Questo è davvero un peccato, perché la riflessione sui fatti e sulle proprie azioni è la base dell'esperienza, unico reale valore per migliorarsi. Non intendo minimamente accusare nessuno di non voler capire, anzi, sono convinto che nonostante non siamo abituati a ragionare così, il Centrodestra a Terni sia già ora in grado di proporre una classe dirigente con doti di competenza del tutto equivalenti a quelle del Centrosinistra e con in più maggiore coraggio, maggiore coesione, maggiore buona volontà, maggiore passione. Personalmente sono facilitato nell'analisi e nel ricordo degli avvenimenti del governo del Centrodestra della nostra città, dal fatto che li ho vissuti con una età che cominciava per 2 e quindi oggi, con una età che inizia per 4, non devo fare "difese d'ufficio" e mi sembra naturale partire dal presupposto che non rifarei molte delle cose che mi sono trovato a fare e a "sopportare" in quegli anni.
Il punto è che l'epoca Ciaurro, indipendentemente dai torti e dalle ragioni, è finita traumaticamente per il Centrodestra e quindi negli anni immediatamente successivi si è creato un comportamento tacitamente condiviso volto a non riaprire le ferite.
In questo modo però il Centrodestra ternano non ha mai fatto una analisi approfondita e un confronto sugli avvenimenti di quel periodo e non ha quindi una interpretazione condivisa. Oggi però che quegli avvenimenti sono del tutto superati dalla politica e spostati, per forza di cose, sul piano della riflessione culturale, forse sarebbe utile una maggiore puntualità di analisi.
Non stupisce pertanto che tra la gente si ascoltino spesso delle ricostruzioni molto lontane dalla realtà degli avvenimenti di quegli anni, stupisce invece che sostanzialmente anche sui giornali, perfino negli articoli di attenti osservatori politici, regni una grande confusione. Pertanto le note seguenti possono essere utili, se non all'interpretazione, almeno alla memoria.
Nel 1993 la coalizione civica che alla fine candidò Gianfranco Ciaurro si chiamava "Alleanza per Terni". Era la reazione alla crisi della politica di alcuni partiti (PRI e PLI), di alcune "correnti" (alcuni venivano da una esperienza nel PSI), di cittadini singoli che avevano vissuto con sdegno la stagione della tangentopoli ternana e avevano sentito la necessità di reagire con un impegno diretto, appunto di carattere civico e di altri, infine, che volevano portare l'esperienza delle professioni e del mondo del lavoro nella politica locale.

La formula era ispirata alla "Alleanza Democratica" di Ferdinando Adornato. Alleanza per Terni era realmente civica e quindi non era facilmente collocabile in una geografia destra-sinistra, ma le interpretazioni di alcuni che la volevano dipingere come una formazione di sinistra cozzavano fin dall'inizio con la chiarissima e dichiarata alternatività al sistema di potere della sinistra a Terni, con gli orientamenti di Alleanza Democratica, come la successiva evoluzione e collocazione delle posizioni di Ferdinando Adornato hanno dimostrato, con la stessa composizione della lista.
ApT, come veniva indicata in sigla, pertanto, possiamo dire che partiva da posizioni centriste ed era destinata a fondare il centrodestra a Terni. Non era una associazione, ma direttamente una lista civica che seguì un suo piuttosto lungo percorso che comprese la costituzione di un comitato operativo (come il libro di Walter Patalocco correttamente riporta) con le rappresentanze dei partiti e dei gruppi, una serie di confronti più o meno assembleari, prima svolti nella sede del PRI, poi con l'utilizzo di sale messe a disposizione da alcune parrocchie, la formazione della lista, la formazione di un gruppo di direzione costituitosi in "comitato politico" praticamente in coincidenza con la vittoria elettorale, che si occupò, tra l'altro, del problema della candidatura a Sindaco. In particolare le candidature ipotizzate erano due quella di Gianfranco Ciaurro e quella di Guido De Guidi. Solo questa formula (ApT+Ciaurro) è risultata vincente, tutte le altre formule civiche, che sono state elaborate nelle elezioni successive, hanno fallito.
Il successo di ApT dipese, certamente dal profilo eccezionale della candidatura di Ciaurro e dalla estrema debolezza della sinistra per le note vicende giudiziarie e politiche, ma anche dal fatto che si inserì in un travaglio evidente del mondo cattolico cittadino. La DC, che a quelle elezioni candidò a Sindaco l'On. Renzo Nicolini, usciva da troppi anni di opposizione sostanzialmente consociativa (tradizionalmente svolgeva il collegamento tra le istituzioni locali sempre guidate dalla sinistra e il governo centrale), per poter convincere gli elettori in una fase in cui la priorità, vissuta addirittura con integralismo, era il rinnovamento. Questa insufficienza della DC era sentita anche all'interno del mondo cattolico da rilevanti esponenti democristiani che si differenziarono e, in particolare, da Stefania Parisi, che si candidò a sindaco dando vita a un'altra lista civica centrista che partecipò a quelle elezioni: l'Unione Civica.
Un altro elemento importante nel successo di ApT fu la conoscenza, indotta certamente da Ciaurro, del reale funzionamento dei meccanismi politici ed elettorali della nuova legge con ballottaggio. Ciaurro infatti superò Nicolini, guadagnando il ballottaggio, non fece apparentamenti di sorta, nemmeno con il MSI che aveva candidato la compianta Sen. Antonella Baioletti e sconfisse un candidato Sindaco della sinistra di indubbio valore, capacità e qualità politiche e personali, il Sen. Franco Giustinelli.
In sostanza ApT vinse perché seppe incarnare il cambiamento agli occhi dei ternani, cambiamento desiderato dagli elettori di Centrodestra, ma anche da elettori del Centrosinistra e della Sinistra anche estrema.

ApT in realtà non riuscì mai ad esistere come soggetto politico autonomo, perché si trovò subito stretta tra la nascita di Forza Italia e la identificazione agli occhi degli elettori con l'amministrazione Ciaurro. Il Centrodestra quindi affrontò le successive elezioni senza un soggetto politico centrista di riferimento: FI a Terni non era stata consolidata (era ancora politcamente "acerba", non aveva un gruppo consiliare, era sempre stata tenuta molto lontana formalmente e sostanzialmente dall’Amministrazione Ciaurro), mentre ApT si dissolse di fatto già prima della fine della consiliatura.
In effetti Ciaurro nel 1993 portò alla vittoria una lista civica che lui aveva trovata già pronta.

Proprio di questo si lamentò pubblicamente quando in occasione delle elezioni del 1997 ideò la formula e i contenuti della nuova formazione civica "Terni libera" (ai giornalisti che gli chiedevano "libera da che?" gli rispondeva "libera dai rossi"). In quelle elezioni AN presentò una propria lista collegata con Ciaurro, FI, invece, non si presentò, ma inserì candidati all’interno di Terni libera. Gianfranco Ciaurro scelse personalmente tutti i candidati di Terni Libera, proprio per marcare la differenza con ApT.
Non concluse accordi con il CCD al primo turno, che infatti candidò a Sindaco Francesco Renzetti, il collegamento Ciaurro-CCD si realizzò solo al ballottaggio. La tecnica elettorale dimostra in modo inconfutabile che il CCD non ebbe alcuna responsabilità nel fatto che non scattò il premio di maggioranza (cosiddetta anatra zoppa), infatti la sinistra ottenne più del 50% dei voti, quindi tutti gli altri, anche se fossero stati tutti collegati, avrebbero raccolto sempre meno del 50%. La valutazione puramente politica se una Terni Libera unita fin dal primo turno con il CCD avrebbe convinto anche elettori di sinistra o astenuti a sostenere il centrodestra, oppure se invece questo comportamento del CCD abbia convinto alcuni delusi da Ciaurro a votare comunque per il centrodestra è destinata a rimanere per sempre nel mondo dei "se". Inoltre nell'area centrista esisteva anche un'altra lista civica non collegata con Ciaurro, né al primo, né al secondo turno.
Terni Libera perse le elezioni, Ciaurro sarebbe stato riconfermato senza poter disporre della maggioranza del Consiglio Comunale, questo metteva di fatto nelle mani dei consiglieri di sinistra il potere di interrompere la consiliatura almeno due volte l’anno: nella votazione di assestamento del bilancio e nella votazione di approvazione dello stesso. Quindi era chiaro che la consiliatura si sarebbe interrotta prima della scadenza del mandato.

Terni libera fu un fallimento prima politico e poi elettorale, perché era nata con il preciso intento di evitare la presentazione del simbolo di FI, di regolare i conti con il CCD e di portare comunque Ciaurro alla vittoria con una maggioranza di consiglieri. Centrò solo il primo obiettivo, ma che quello fosse un obiettivo desiderabile è tutto da dimostrare.
Nel 1999 candidato Sindaco per il Centrodestra era Enrico Melasecche, il vicesindaco uscente. Collegate con Melasecche c’erano cinque liste tre politiche (FI, AN, CCD), due civiche: Terni Insieme e Terni Giovani. Erano tutte liste di centrodestra, in particolare le liste civiche erano state pensate dai partiti per uno scopo preciso, Terni Giovani doveva attrarre il voto dei giovani, e Terni Insieme doveva essere la lista civica propria del candidato Sindaco allo scopo di conferirgli un aspetto meno schierato (il “sindaco di tutti”) e per intercettare il voto della sinistra. In questo senso Terni Insieme fu un autentico fallimento, perché a giudicare dai dati elettorali, il suo apporto di provenienza dagli elettori di sinistra fu molto modesto, se non inesistente, mentre cannibalizzò i voti del Centrodestra, in particolare di FI.
Ricordare la nostra “storia” è utile per evitare di commettere ancora gli stessi errori. La storia delle liste civiche a Terni dimostra, se ce n’era bisogno, che solo le iniziative sufficientemente autonome e portatrici di un proprio valore agli occhi degli elettori possono realmente aspirare alla vittoria.
Inoltre non è mai utile ricalcare strade già percorse, anche se hanno portato al successo in passato: è molto meglio aprirne di nuove. Ma se l’area civica a Terni non riesce proprio a fare a meno di un modello ne scelga almeno uno vincente: guardi semmai ad Alleanza per Terni e alla sua eccezionale capacità di rispondere a quelle che erano allora le domande diffuse degli elettori.
Paolo Cianfoni