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Grandi menti parlano di idee, menti mediocri parlano di fatti, menti piccole parlano di persone. (E. Roosevelt)

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lunedì 16 giugno 2008

Il testo dell'intervento introduttivo di Mons. Paglia al convegno "Una comune responsabilità per il futuro della città"

UNA COMUNE RESPONSABILITA’ PER IL FUTURO DELLA CITTA’
“Il perché di un invito, il valore di un’amicizia”Mons. Vincenzo Paglia Vescovo di Terni-Narni-Amelia

Gentili autorità,carissime amiche, carissimi amici,
molti in queste ultime settimane mi hanno chiesto, anche mostrando una qualche perplessità, come mai fosse venuto in mente al vescovo di prendere una iniziativa come quella che ci ha raccolti qui, oggi. Meditandoci su, ho compreso che il mio compito, stamane, è innanzitutto e forse quasi esclusivamente quello di rispondere con sincerità a questa domanda. Questo interrogativo ci apre la via ad una comprensione più vera di cosa sia la Chiesa e il servizio del vescovo . Il mio invito, che ho fatto a nome della nostra Chiesa, non poteva avvalersi della forza di alcun potere, ma della sola forza dell’amicizia. Non è perciò espressione di alcun sentimento di orgoglio o di superiorità, semmai di umiltà. Soprattutto, questo invito non è accompagnato da alcun progetto – né la Chiesa, né tanto meno il vescovo possono averne uno per la Città – ma solo da un profondo amore che spinge ad una reale responsabilità. Illuminanti sono le parole del grande patriarca ecumenico, Atenagora. Cogliendo la sapienza anche della Chiesa d’Oriente diceva: “Noi uomini di Chiesa non siamo tenuti ad elaborare buone ricette politiche, ma a rammentare ai cristiani le loro responsabilità. Sono responsabili di fronte a Dio per tutti gli uomini. Debbono sapere che la preghiera e l’eucarestia implicano un impegno sociale, che un uomo nutrito dal sangue di Cristo deve impegnarsi… nell’opera di civilizzazione” (Dialoghi, p. 266).
Non con potere, ma per amicizia - Se voi tutti siete qui oggi e vi accingete al grande dono dell’ascolto, innanzitutto, e poi anche della parola, è perché liberamente avete scelto di farlo. Il merito di questa giornata che ci donate è tutto vostro. Non siete qui perché avete obbedito ad un comando che il vescovo non poteva comunque rivolgere, ma perché avete intuito l’urgenza di un tale appuntamento. La vostra generosa, vivace e attenta partecipazione fa emergere una di quelle preziose energie di bene e d’amore di cui è fatto il tessuto sociale della città e di tutto il nostro territorio e che spesso non sappiamo cogliere. E’ un evento che mostra quanto sia viva questa città. Sono rimasto non poco sorpreso dell’alto numero degli interventi, anche se non tutti dello stesso tono e di uguale valore, che nei giorni passati si sono susseguiti sulla stampa con un ritmo del tutto inatteso. E questo indica già da sé l’urgenza di uno spazio di libertà come questo. In ogni caso, il vostro esser qui è un atto di quella amicizia civile – quella fiducia reciproca che è già da sempre in opera quanto si istituisce e si vive una polis –, amicizia civile che è interpretazione non ultima, né minima, di quell’amore che è prima ed ultima chiave della vita e del futuro. La Chiesa diocesana, ed io per essa, vi ho invitati per amicizia, e voi per amicizia siete qui. Grazie di cuore, credo, a nome di tutti!Noi tutti vediamo, in ciò che di bello e di buono ci circonda, una abbondanza di opportunità a disposizione di tutti. Dal canto suo, chi crede nel Signore Gesù si sente comandare dalla parola del Vangelo: «andate dunque agli incroci delle strade e chiamate al banchetto di nozze chiunque troverete» (Mt 22, 9). La Chiesa non può neppure lontanamente ambire a provvedere da sola tutti i beni materiali, culturali e spirituali che allietano quel banchetto, e neppure tutte le energie che servono per proteggerlo e mantenerlo aperto a tutti. Essa vi contribuisce con tutto quel che ha, sperando che sia gustato ed apprezzato da tutti, ma il lavoro ed i talenti di ciascuna persona, e di tutte le persone assieme, sono altrettanto indispensabili. Ecco, la Chiesa, anche nei momenti più difficili, ha il dovere di tenere aperta la casa, caldo il pane, buono il vino, fresca l’acqua, il minimo essenziale, ed ha il dovere di invitare tutti con passione, affetto, rispetto (cfr. 1Pt 3, 15), chiedendo a ciascuno di portare ciò che ha, ciò che sa, ciò che può. Come di recente hanno ricordato i vescovi statunitensi in una loro lettera pastorale, anche noi dobbiamo chiederci: chi ha un posto alla tavola della vita? Chi può sedere a questa tavola? A chi è consentito di arrivare a questa tavola e chi riesce a non esserne escluso? C’è su questa tavola quanto basta ai bisogni di tutti? Potrebbe esserci qualcosa in più per una vita migliore? È per queste ragioni ed in questa prospettiva che la nostra Chiesa diocesana si interroga sulla città e sulla cittadinanza, mentre non può che rivolgersi a tutti perché a questo dedichiamo almeno alcune delle nostre energie migliori.
“Vivere secondo la Domenica” - È sotto gli occhi di tutti per quale cammino siamo giunti, pian piano, a concepire questo invito. Dopo il Giubileo del 2000, ritrovandoci pienamente nelle scelte della Chiesa universale, abbiamo ritenuto che il cammino della nostra Chiesa diocesana dovesse ripartire dal mistero della Domenica, il cui cuore pulsante è l’Eucarestia. In essa la Chiesa è ri-creata, si ri-conosce, si ri-forma, si ri-orienta, si ri-anima. E di qui, dalla Eucarestia della Domenica, la Chiesa si incammina sulla via dell’amore dentro la storia degli uomini, come ho ricordato nell’ultima lettera pastorale. Siamo incoraggiati in questo senso dalle parole di un antico Padre della Chiesa, Sant’Ignazio di Antiochia, il quale, mentre veniva portato a Roma ove avrebbe testimoniato la sua fede sino all’effusione del sangue, diceva che i cristiani sono coloro che “vivono secondo la Domenica” (iuxta dominicum viventes). E cosa viviamo nella Domenica, noi cristiani, qui a Terni? I dati che abbiamo ci dicono che poco più di ventimila persone (un numero che appare in crescita) ogni Domenica ci raduniamo attorno all’altare del Signore: e qui veniamo ricostruiti come una comunità di fratelli e di sorelle per essere, come scrivono gli Atti degli Apostoli, “un cuor solo e un’anima sola”(At 44,32). E’ il lavoro, lungo e non sempre facile, che l’Eucarestia fa in noi per abbattere le separazioni e le chiusure e allargare il cuore e la mente. La Messa – scriveva san Tommaso – è la “fabbrica” (o, se volete, lo “stabilimento”) ove veniamo edificati appunto in comunità, in un solo corpo. Ed è per questo che diveniamo segno di una comunità più grande fondata nel Battesimo, che condividiamo con tantissimi, e nell’umanità che condividiamo con tutti. Vivere secondo la Domenica significa perciò che i cristiani sono chiamati ad essere lievito di amore e di convivenza, fermento di solidarietà e di pace, energia di misericordia e di amicizia per l’intera Città. Appunto: essere lievito, fermento, energia per la Città. Per questo i cristiani non si costruiscono una loro città. Essi – ce lo ricorda anche un antichissimo testo cristiano, la Lettera a Diogneto - vivono assieme agli altri, parlano la lingua di tutti, si vestono come gli altri, lavorano come gli altri, ma ovunque sono chiamati ad essere lievito di amore. La Chiesa è stata istituita per servire la Città perché divenga anch’essa una communitas. Per questo non possiamo restare chiusi nelle chiese, e tanto meno nelle sacrestie. Il contrario di quel che diceva un uomo politico tedesco, di fede socialista, negli anni Settanta: “Voglio una società che renda superflua la Chiesa”. Al contrario, il cardinale Bagnasco, nella sua prolusione all’ultima assemblea della Conferenza Episcopale, invitava i cristiani ad uscire dalla chiesa e a ridare significato al “sagrato”, a percorrere l’intera piazza antistante, in tutti i suoi angoli. Noi cristiani siamo chiamati a vivere con e per gli altri, a spendere la nostra vita con la nostra città, per la nostra città e per il mondo. E per questa ragione, quel 20% di adulti ternani che di Domenica lavorano ci inquieta e ci interroga: cosa possiamo fare perché donne e uomini siano messi in condizione di non essere sopraffatti dal lavoro e godere, già da ora, innanzitutto nella festa, la pienezza della vita e delle relazioni?
La vita paradossale della Chiesa L’Eucarestia ci sottopone come ad un doppio movimento: uno di abbassamento e l’altro di relativizzazione. La Chiesa nasce dall’alto, da Dio, non da noi. Ed è per questo che – seguendo il suo Signore - è chiamata ad abbassarsi per ritrovarsi sempre a fianco, vicino, mai sopra o in alto, agli uomini. E’ emblematico, in tal senso, il termine stesso “parrocchia”, una parola greca che significa “vicino alle case”. La Chiesa è “vicina”, anzi “amica” delle case degli uomini, dentro i quartieri e nella città. Il Concilio Vaticano II afferma: «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini e delle donne di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (Gaudium et Spes n.1). Sì, la Chiesa, amica della Città, spende la sua vita dentro le sue pieghe. Se non lo facessimo tradiremmo la nostra fede. Un grande teologo contemporaneo, Henri De Lubac, scriveva: “La fede non è un deposito di verità morte, che si mettono rispettosamente ‘da parte’, per organizzare senza di esse tutta la vita… Per conservarsi soprannaturale, la carità non è costretta a farsi disumana: come lo stesso soprannaturale non si concepisce se non si incarna. Colui che si sottomette alla sua legge, lungi dal liberarsi con ciò dai suoi legami naturali, mette al servizio della società di cui la natura l’ha fatto membro, un’attività tanto più efficace, quanto più libero ne è il principio”(Cattolicismo, p.278). E Benedetto XVI, rivolgendosi ai vescovi italiani nel mese di maggio scorso, ha detto: “Quali annunciatori del Vangelo e guide della comunità cattolica, voi siete chiamati anche a partecipare allo scambio di idee nella pubblica arena, per aiutare a modellare atteggiamenti culturali adeguati”. E aggiungeva: “Nel quadro di una laicità sana e ben compresa, occorre pertanto resistere ad ogni tendenza a considerare la religione, e in particolare il cristianesimo, come un fatto soltanto privato: le prospettive che nascono dalla nostra fede possono offrire invece un contributo fondamentale al chiarimento e alla soluzione dei maggiori problemi sociali e morali dell’Italia e dell’Europa di oggi”.Ma la Chiesa non vive questo impegno al fine di gestire la società. Il suo fine è oltre i confini della storia. Per questo la sua vita è paradossale: dentro la città, eppure oltre le sue mura. Mentre infatti si mischia nella vita della città, non si identifica in essa. Lo scrive la Lettera agli Ebrei: “Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura (13,14). La nostra vera patria è nei cieli, tanto che la prima Lettera di Pietro ci dice che siamo “come stranieri e pellegrini”(2,11) nelle nostre città. Se abitassimo la città semplicemente per servire i nostri o, peggio ancora, gli altrui interessi, tradiremmo la fede. Lo comprese bene don Milani nella nota lettera a Pipetta. L’Eucarestia ci incalza con una duplice domanda: noi cristiani, che apparteniamo pienamente a questa Città, ci siamo spesi e ci spendiamo davvero per il suo bene? E ancora: noi che andiamo verso la città futura come viviamo e mostriamo questa alterità alla città degli uomini? Una cosa sappiamo noi cristiani: giungeremo alla città del cielo solo se abiteremo quella della terra, per trasformarla, renderla migliore, più giusta, più umana, meno violenta. La Chiesa non esaurisce perciò il suo servizio nell’orizzonte storico , e tuttavia ogni bene che nella storia può essere sperimentato e goduto, compreso il bene della città, è tutto interno al bene che la Chiesa è chiamata a servire. Di questo bene è parte integrante la libertà umana: «l’essere umano può volgersi al bene soltanto nella libertà» (Gaudium et Spes n.17). L’idea cristiana di solidarietà, infatti, non sopprime il valore delle differenze e del particolare, e si inquadra in un sistema di riferimenti di cui a pari titolo fanno parte responsabilità, sussidiarietà e libertà . La stessa idea, esigentissima, dell’obbligo morale alla ricerca della verità è parte dell’insopprimibile valore della singola coscienza … .
Chiesa e Città, l’una interna all’altra - Questo nostro incontro pertanto non è un convegno sui rapporti tra Chiesa e Città come se si trattasse di due realtà effettivamente perfette, e dunque chiuse l’una all’altra. Tendere alla perfezione da parte della città è stato il tratto distintivo di tutti i progetti ideologici che hanno riempito di sangue il secolo scorso . E la perfezione della Chiesa è tale solo in termini escatologici, essendo essa su questa terra semper reformanda . La Chiesa e la Città non si fronteggiano: sono in intima relazione, quasi “interne” l’una all’altra. La Chiesa è intima alla Città senza però identificarsi con essa. Anche se nella città tutti fossero cristiani, la Chiesa ne rimarrebbe distinta. E’ questo il senso delle parole del Vaticano II quando insegna che la Chiesa è “segno e strumento dell’unità del genere umano”. La Chiesa non può sostituire la Città degli uomini, è però ad essa congeniale. E’ infatti nata nella città sino a prenderne il nome. Il nome delle Chiese è specificato dalla città nella quale vive. Il nostro nome è: “Chiesa che è in Terni, Narni, Amelia”. Ma anche la Città – la storia lo evidenzia – è intimamente connessa alla Chiesa, al di là del numero dei cristiani che la abitano. Infatti, il bene di cui la Chiesa è a servizio contiene il bene di tutti e si spende – spesso anche visibilmente – usque ad consumptionem carnis, perché chiunque nella città possa vivere determinandosi liberamente. La libertà della città non è un limite all’azione della Chiesa ma un dono, anche storicamente accertabile, che il cristianesimo ha fatto all’umano consorzio e che, pur con tutti i limiti e inadempienze, continua a fare. Lo ripeto, non c’è un progetto cristiano sulla città. C’è però la ricerca delle migliori opportunità di cui ciascuno liberamente può avvalersi. E in questo tempo nel quale le città stanno vivendo un difficile momento della loro storia, per i profondi cambiamenti sociali, economici e culturali, la Chiesa deve spendere le sue energie migliori per edificarle sempre più come communitas. Di fronte allo spaesamento che la globalizzazione provoca è urgente impegnarci ad allontanare dalle nostre città chiusure e ripiegamenti per vivere una più robusta identità fatta di radicamento e di apertura al mondo.
La Città pluriforme - La Chiesa è chiamata altresì a svolgere nella Città anche quel compito che potremmo chiamare di “relativizzazione” dei poteri, sia politici che economici, scientifici o tecnici, a volte persino religiosi, perché nessuno di essi pretenda di essere assoluto. L’esserci della Chiesa desacralizza, “laicizza”, ogni potere, destituendolo da ogni pretesa sintetica e riportandolo a strumento di azioni misurabili, valutabili, imputabili. Questo dice l’insegnamento sociale della Chiesa quando asserisce il concetto di sussidiarietà. E questo oggi, in Italia e in Europa, significa criticare ogni pretesa di sovranità assoluta, inclusa quella della politica che si fa Stato. L’ambito della “politica” infatti è ben più vasto di quello dei partiti e richiede l’impegno di tutti i cittadini e di tutte le realtà vitali della città. Per questo va “criticata” ogni chiusura e inamovibilità, ogni irresponsabilità e ogni “investitura” nell’esercizio dei pubblici poteri, politici o di altro ordine, pensati sullo schema ereditario. Del resto la stessa Scrittura, ed in particolare il Nuovo Testamento, ci propongono un’idea di poteri che reciprocamente si controllano e si limitano e lo spazio di questi poteri è per l’appunto la Città. La buona Città terrena è pluriforme non uniforme, poliarchica non monarchica, democratica non autoritaria: è, diremmo oggi, una Città aperta, mai chiusa e, come amava dire don Luigi Sturzo, pervasa da “sano agonismo”. In questa Città nessun ceto e nessuna singola istituzione è addetta o arbitra del bene comune, che deve essere, invece, misura dell’operato di ciascun individuo e di ciascun gruppo. E si badi bene, la Chiesa stessa non può arrogarsi il compito della sintesi. Semmai, possono esserci momenti nei quali, proprio per la sua natura paradossale, la Chiesa può offrire a tutti uno spazio di libertà, come avvenne, ad esempio, a Terni durante i bombardamenti, quando le istituzioni cittadine trovarono nell’episcopio un luogo per il libero confronto e la comune tensione per la difesa e la riedificazione della città.
Non con orgoglio, ma con umiltà - In questo passaggio storico la nostra Chiesa diocesana ha rivolto un invito a tutti per vivere uno spazio di libertà e di confronto comune. In tanti avete risposto. Per me, uomo, cristiano e vescovo, l’ispirazione nasce dalla Messa della Domenica. Lo dico pubblicamente per ricordare a me, prima che a chiunque altro che, con Gesù e come Gesù, la Chiesa pur nascendo dall’alto si manifesta al fianco degli uomini e qui deve restare. Il mio invito nasce solo dall’amicizia per questa città: per essa spendo la mia vita e ad essa non cesso di comunicare il Vangelo, a tempo e fuori tempo, come scrive l’apostolo. E cerco di farlo con quell’umiltà che non è l’umilismo avaro di chi si ritrae per mettere al primo posto la propria tranquillità o i propri interessi. Il Signore Gesù ci sta avanti: Lui che si è fatto più piccolo di noi , che cammina a fianco a noi come ai due di Emmaus , Lui che continua a chiederci da bere , a chiederci di restare in basso, a fianco ed in mezzo agli uomini ed alle donne, ai poveri soprattutto. Ecco perché, per i cristiani “ripartire dagli ultimi”, da quelli che hanno maggior bisogno di aiuto, dai poveri, significa ripartire con il piede giusto per edificare una città dal volto umano.Ponendoci di fronte a questa radicale esigenza di amore e riconoscendoci destinatari di una Amore immeritato, so bene che non potrei fare questo invito senza riconoscere con franchezza che questo gesto di convocazione rende ancora più chiaro a me ed alla nostra Chiesa quante volte come preti e come “laici” cristiani abbiamo mancato, abbiamo tradito la città o abbiamo cercato solo vantaggi esclusivamente particolari e successi anche effimeri. Con questo spirito ho provato a dirvi, tutta la nostra Chiesa ha provato a dirsi ed a dire: proviamo a convergere, a conversare per rinnovare questa città.
Non con un progetto, ma per responsabilità - Dunque, ma ora è più chiaro, a muoverci non è stato un progetto sulla città o la ricerca di alleanze per esso, ma la responsabilità per la città, che c’è sempre, ma che si fa ancora più forte quando ci troviamo in momenti difficili come quello che stiamo vivendo. E a tale proposito riprendo un passaggio dell’omelia per la festa di San Valentino di questo anno. Dicevo: “Oggi Terni, assieme a questa terra, sta vivendo un momento delicato della sua storia; un momento di passaggio, di faticoso travaglio. Tutti siamo consapevoli che il passato non può tornare e che il futuro non è dietro l’angolo; richiede anzi una creatività ben più generosa di quella che mostriamo… Il Signore chiede a tutti, ed anche alla nostra Chiesa diocesana, di parlare, di riflettere, di dibattere, di individuare prospettive, insomma di ricomprendere le responsabilità che abbiamo per la vita della città…. Non siamo rassegnati sulla città, non possiamo lasciarci prendere solo dal lamento sterile di chi poi si ritira comunque a coltivare solo il proprio orto, piccolo o grande che sia. Ciò di cui oggi abbiamo più bisogno a Terni è la speranza… La speranza è già presente nel bagaglio della nostra storia, ma va alimentata…. Terni ha risorse e talenti, ed anche un notevole serbatoio di generosità. E’ anche vero però che la difficile transizione, in corso ormai da decenni, non è ancora sfociata in una soluzione convincente, robusta, giusta e solidale. Viviamo ancora tensioni contraddittorie, perdiamo ancora troppo spesso la speranza in un futuro umanamente e socialmente più ricco e più dinamico. Non possiamo ignorare che Terni, negli ultimi quaranta anni, ha perso terreno in confronto con molte altre realtà del paese. E debbono preoccuparci i segnali di declino nel campo economico, in quello della cultura, delle relazioni sociali.” E aggiungevo: “Le città possono anche morire, pur restando geograficamente in piedi: la storia ce lo mostra. Ma possono anche reinventarsi. C’è bisogno perciò di una passione nuova che ci coinvolga tutti per costruire il futuro della nostra città. E’ un impegno che coinvolge ciascuno di noi in prima persona. Certo, c’è bisogno - e non solo a Terni - di una politica forte e responsabile. E la politica deve rinnovarsi, senza dubbio alcuno. Ma da sola non basta. Il nostro futuro è nelle mani della scuola, delle imprese, dell’università, della ricerca scientifica, delle associazioni, delle famiglie, dei gruppi professionali, delle comunità cristiane oltre che – ovviamente - delle sue istituzioni politiche. Ma tutte queste realtà – ed è un serissimo problema - debbono fare i conti con il bene comune; non debbono accontentarsi della semplice distribuzione di quanto c’è, ma cooperare alla produzione di nuove risorse (economiche, sociali, culturali, spirituali) da mettere a disposizione di tutti.Cari amici, solo se allarghiamo la nostra mente e il nostro cuore avremo un futuro, sia come città che come persone; solo se ci apriamo al nuovo, al non previsto, a ciò che ci viene incontro, solo se operiamo per integrare e assimilare e non per dividere e difendere, possiamo dare corpo ad un futuro più armonioso e più ricco. E’ stato così anche in passato. La Terni industriale ha avuto e dato futuro mediante l’apertura, accogliendo il rischio dell’innovazione, della diversità, della pluralità. Qualche segno di risveglio lo abbiamo vissuto. Penso, ad esempio, alla vicenda delle acciaierie e al cambiamento avvenuto da tre anni a questa parte. E’ vero che i tempi ora sono diversi; ma dobbiamo riscoprire quella stessa generosa disponibilità, e quella stessa lucida creatività. Terni deve tornare ad essere una città che attrae, che integra e che valorizza le persone; che guarda oltre i suoi confini, sia regionali che nazionali”.
Con speranza verso il futuro - Credo sia più chiaro ora il motivo di questo incontro. E ognuno è chiamato a fare la sua parte. Io, non sono né un economista né un amministratore, sono un prete e un vescovo. E cerco di amare questa città sino in fondo. Ed è proprio l’amore che mi spinge a guardare il futuro con speranza senza distogliere gli occhi dalle difficoltà del presente. Infatti, se c’è una cosa che rende ancora più seria la crisi che anche noi, come gran parte d’Italia e d’Europa, stiamo attraversando, questa è la scarsa coscienza che talora se ne ha. E da noi c’è, per di più, anche una scarsa consapevolezza delle trasformazioni che abbiamo vissuto come città. Solo un esempio. Dal sondaggio commissionato dal Consiglio pastorale Diocesano per la preparazione di questo convegno emerge che il 72% dei ternani pensa che il settore industriale assorba ancora la maggioranza degli occupati residenti in città. In verità, è da anni che non è più così. Una piena consapevolezza collettiva nei momenti di passaggio è un ingrediente fondamentale per guidare, tutti insieme, come città, il cambiamento. L’esito non è sempre certo. Lo sappiamo. Le città nascono ed a volte scompaiono. Ma la scomparsa di una città è una cosa seria. Se una città si perde, si perde una cultura, un modo particolare di interpretare la vita, la vita comune, le sue possibilità e la sua bellezza. Con una città che si perde viene meno una possibilità di amicizia civile. Forse alcune città hanno meritato di scomparire, o di diventare meri aggregati residenziali. Ma siamo sicuri che Terni lo meriti? Siamo sicuri che Narni lo meriti? Siamo sicuri che Amelia ed il nostro territorio, più in generale, siano destinati inevitabilmente a diventare marginali, meno ricchi in quanto a risorse, a solidarietà, a capacità, a forza progettuale? Io credo di no. In molti crediamo di no. Terni, non lo dimentichiamo, è nata in larga parte per la scelta che confermava una necessità: quanti pochi ternani, infatti, sono nati a Terni, ma a Terni sono rimasti? Questa città ha valori importanti che si debbono comprendere, a volte anche con disincanto, ma che non continueranno a vivere senza un duro impegno di tanti. Un impegno fecondo di umana maturità e di legittima soddisfazione, un impegno che rivela una dimensione – quella sociale – meritevole anch’essa di essere vissuta. Forse tra le più meritevoli della avventura umana.Credo che Terni, come Narni, come Amelia e tutto il nostro territorio, siano un valore. Ma i valori non sopravvivono senza il nostro lavoro, senza il nostro impegno libero, generoso ed intelligente. Ieri, 13 Giugno, abbiamo ricordato la liberazione di Terni dal Nazifascismo. Quale valore più alto ed universale possiamo immaginare se non quello della libertà. Eppure quel valore si affermò non per la sua indiscutibile evidenza, ma per il generoso sacrificio di alcuni. Si affermò, certo, ma anche attraverso scelte e condotte che in parte anche poco gli si addicevano quando addirittura non lo contraddicevano. Eppure è attraverso passaggi in cui il bene si impasta al male che la storia procede, e ciò non deve deluderci o disimpegnarci, ma spingerci a vigilare su noi stessi sia sul nostro coraggio che sulla nostra responsabilità, la nostra generosità e la nostra paziente tenacia.
Una nuova fase costituente? Dunque la Chiesa partecipa del desiderio di tutti coloro che abitano la Città, desiderio di una Città nella quale si producano più opportunità e più libertà effettive. Tre sono le domande che ho provato a formulare, molto semplici ed insieme decisive. Anzi, per la verità, si tratta di domande che prima di formularle le ho sentite rivolte anche a me. Abbiamo forza e volontà sufficienti per rimetterci in cammino? Abbiamo il coraggio di guardare in faccia il presente e riconoscervi derive negative che potrebbero giungere ad un segno irreversibile? Non mancano esempi, diciamocelo con franchezza di aree urbane segnate da una schiacciante monocultura politica ed economica che hanno imboccato la via di un declino ormai senza alternative. Abbiamo a disposizione la volontà di riprendere un cammino e le concrete opportunità che non rendano velleitaria questa buona volontà? Possiamo allora fare un elenco di elementi del nostro tessuto cittadino (del suo ordito economico, ma anche in quello politico o culturale, e così via) che sono ancora carichi di futuro, che sono riserve di energie, e che dunque vale le pena portare con noi? E possiamo fare un elenco di elementi che invece non sono altro che capolinea di una storia collettiva che è finita? Possiamo indicare i costi che non val più la pena sostenere, i fardelli per cui non val più la pena spendere energie? Un punto mi sta particolarmente a cuore. Ho come la sensazione che talora si sia abusato dell’idea della coesione. La coesione è un concetto che può essere anche ambiguo sino a impedire l’indispensabile creatività. La crescita è fatta di coesione vera, che fa da sfondo a confronti liberi, a competizioni vivaci, anche a conflitti, ad ideazioni critiche ed immaginazioni ardite. Si può dire, e non è un paradosso, che oggi noi non abbiamo bisogno di dosi ulteriori di coesione. Terni, come la gran parte dell’Italia centrale, rischia di perdere troppe opportunità per conservare una coesione fine a se stessa. Di altro abbiamo bisogno, ossia del convergere su di una agenda, su di un limitato, non onnicomprensivo elenco di problemi cruciali, perché a questo più chiaramente e più dinamicamente si relazionino le differenze di valori e di interessi, cosicché più facile risulti la valutazione delle alternative, delle alternative praticabili, s’intende. Quali sono – tra quelli su cui localmente possiamo per davvero intervenire – i nodi più gravi? È condividere una agenda che aumenta le probabilità di una competizione feconda (politica, economica, di idee), come alternativa al conflitto lacerante ed inutile od alla coesione consociativa, soffocante ed altrettanto inutile. Ripeto, per dare il via alla parte certamente più ricca ed attesa della nostra giornata: la Chiesa non saprebbe e non vuole guidare questo cammino di ripresa. Vuole e deve parteciparvi, ed in un momento di grande travaglio come questo, ha cercato e trovato il modo di rivolgere un invito che era atteso, che tanti potevano formulare, e che è semplicemente importante ci sia stato. D’ora in poi, avanti, insieme!Ecco, se dovessi immaginare un concetto per comprendere e comunicare il significato del passaggio di cui la nostra comunità cittadina ha bisogno, e che forse ha a portata di mano, direi che abbiamo bisogno di una nuova fase costituente. Sì, di una nuova grande fase costituente cittadina. Una fase che non è solo politica, né solo economica, né solo culturale. Una fase costituente che non è la prima – pensiamo al cambiamento conosciuto da Terni alla fine del XIX secolo – né sarà l’ultima. Le comunità civili che vivono non si ripetono identiche ma si ricostituiscono ad ogni fase. In qualche modo si reinvetano. Ecco – non lo dico io per primo, per fortuna – se è vero che siamo ad un passaggio d’epoca, se siamo alla fine del secolo dei totalitarismi, di destra e di sinistra, se siamo alla fine dello stato e della politica che pensava a tutto, se è vero che siamo alla fine del secolo socialdemocratico , se è vero che siamo alla fine dell’utopia giacobina e secolare. Di tutto questo, Terni, nel suo piccolo, è stata buon esempio. La nostra comunità ha bisogno di un passaggio costituente di fronte al quale tutti, singoli, istituzioni, organizzazioni, gruppi, siamo in condizioni di parità, senza alcun primato, senza alcuna priorità di rango e di ceto. Forse, i tanti generosi sforzi e le parziali discontinuità che la città ha conosciuto a partire dagli anni ’80 hanno prodotto risultati non soddisfacenti perché non avevano accettato una tale misura del compito che pure avevano intuito. Appunto, un compito costituente.
Per ripartire Che può dirvi in conclusione un prete, un vescovo, oltre che ce la metterà tutta come ciascuno di voi? Un prete può dirvi, senza che questa confessione disturbi o forzi alcuno, che come sacerdote crede, crede fortissimamente, che il suo Dio, il Padre di Gesù, che è nei cuori di tantissimi di noi, e che è – lo credo – vicino in modo discreto a tutti, davvero a tutti, questo Dio, con timore e tremore, ma anche con gioia e per umile esperienza, credo benedice questo sforzo senza guardare ad etichette o formule esteriori, perché in questo sforzo civile c’è un riflesso dell’amore reciproco, che ha messo nel cuore di ciascuno di noi. Cari amici – mi permetto di chiudere prendendo in prestito le parole del patriarca Atenagora, che ho citato all’inizio: “La Chiesa non è una potenza come quelle di questo mondo, non spetta a lei parteggiare per gli uni o per gli altri. Non è né rivoluzionaria né controrivoluzionaria. E’ la Chiesa dell’amore. Sa che a lungo andare solo l’amore può trasformare la vita. E che bisogna incominciare da se stessi, altrimenti la rivoluzione non è altro che un alibi” (Dialoghi, p. 280). E nella Chiesa e nella Città di San Valentino non vogliamo che attecchiscano alibi.Sono certo, cari amici, che il Signore ci aiuterà a portare a compimento questo, come ogni nostro desiderio più vero. Non oltre, ma attraverso questa storia – le sue sofferenze ed i suoi dolori – in cui ha scelto di camminare con noi, di essere nostro amico. Egli, che è all’origine di ogni cosa buona e giusta, è vicino a ciò che facciamo di buono. Egli aiuterà il nostro comune lavoro.

domenica 8 giugno 2008

Iniziativa del Vescovo di Terni: 4 "si" e 2 "ma"

Personalmente ho accolto con grande entusiasmo l’iniziativa di Mons. Paglia con la quale ha richiesto a tutta la Città di Terni uno sforzo in più per immaginare il futuro e condividere una agenda di priorità per uscire dalla crisi. Per questo ho seguito con interesse la catena di interventi “preparatori” che sono apparsi sulla stampa. Leggendo questi contributi piano piano è emerso qualche “ma”, quindi sento la necessità di fare un breve appunto su quanto ho già espresso al riguardo.
Primo "si" – Il fatto che senza false “accortezze” il Vescovo metta in campo la sua riconosciuta autorevolezza per richiamare tutti a pensare al futuro e a dare una disponibilità riguardo a quello che “si può fare insieme” è fortemente positivo.
Secondo "si" – Il fatto che questo abbia stimolato anche un dialogo realmente nuovo tra le forze politiche (vedi interventi di Provantini e Nevi) è fortemente positivo.
Terzo "si" – Il fatto che tradizionalmente la classe dirigente della Città nel suo complesso non abbia mai dimostrato una sufficiente qualità nella politica e nell’amministrazione per governare il cambiamento e che potrebbe essere “costretta” dall’iniziativa del Vescovo a dare disposte adeguate è fortemente positivo.
Quarto "si" – il fatto che per rispondere a tono alla proposta occorre buttarsi dietro le spalle un consolidato provincialismo culturale che, soprattutto negli ultimi anni, sta prepotentemente ritornando dominante, costringe tutti ad affrontare anche questa sfida culturale ed è fortemente positivo.
Primo “ma” – Ma proprio per rispondere a tono occorre evitare che tutto sia messo in discussione “perché nulla cambi”. Non può essere sfuggito ai lettori più attenti degli interventi dei tanti che si sono sentiti chiamati a dare un contributo, che un conto è riconoscere onestamente anche le proprie responsabilità in una crisi generalizzata e un altro conto è trasformare una opportunità di rilancio che il Vescovo offre alla Città in un generalizzato “piagnisteo” in cui si fa bella figura a fare finta di fare autocritica, senza in realtà farla davvero. E’ per questo che precedentemente accoglievo l’invito di Nevi a non polemizzare, ma a condizione che l’analisi non prescindesse dalle responsabilità, che ci sono e vanno messe a fuoco, proprio per fare in modo di realizzare il cambiamento.
Secondo “ma” – Ma non ci possono essere semplificazioni. La proposta del Vescovo ha indubbiamente un valore “politico”, perché non è una "astratta ramanzina" anzi vuole spingere la Città verso la concretezza per verificare il tanto che “si può fare insieme”. La possibilità di realizzare il cambiamento parte si dall’autocritica, investe si il livello morale, ma deve potersi tradurre in risposte in termini di politica e di amministrazione, altrimenti è comunque utile, ma non è in grado, per impostazione e soprattutto per i tempi necessari, di dare subito risposte concrete alle persone. Allora leggere analisi che individuano nella “paura del diverso”, nella “indisponibilità ad accogliere” il problema della Città, non capendo che Terni non è una Città razzista o sorda alle esigenze sociali e che quella “paura” è il sintomo e non la malattia, significa dimostrare una incapacità di analisi e soprattutto una incapacità di dare risposte in termini di politica e di amministrazione ai cittadini, che invece ne hanno urgente bisogno. In altre parole se i Ternani hanno paura è perché la Città non ha saputo con concretezza e buonsenso gestire le trasformazioni sociali, garantendo ai cittadini i livelli minimi indispensabili di sicurezza, di benessere, di efficacia ed efficienza nell’amministrazione e di qualità nella politica. Questo si può risolvere con uno scatto in avanti, ma le “ramanzine” ai cittadini o alla politica che alcuni muoiono dalla voglia di fare (sull'onda di un falso buonismo "alla Prodi", deleterio e ormai anche sorpassato) non sono affatto in sintonia con quanto è necessario fare: non solo non servono, ma rischiano di allargare ancora di più il distacco che c’è tra le istituzioni della Città (e non mi riferisco solo a quelle politiche) e il popolo di Terni. Così facendo l'iniziativa del Vescovo da opportunità rischia di trasformarsi rapidamente in occasione perduta.
Paolo Cianfoni

mercoledì 4 giugno 2008

Sergio Bruschini: Terni ha le energie necessarie per superare la crisi

Terni ha le energie necessarie per superare la crisi. Per tornare a crescere sono indispensabili una grande mobilitazione di tutti e un profondo cambiamento capace di tenere insieme l’economia, la società e la qualità ambientale. Per il rilancio della città non bastano piccoli aggiustamenti: serve un cambio di modello economico e sociale, perché quello esistente non garantisce né sviluppo né risanamento, come dimostra la fallimentare esperienza del governo cittadino.Abbiamo bisogno di interventi radicali e coerenti nel sistema di produzione come nelle politiche ambientali, del territorio e del welfare.
Non possiamo permetterci nessuna politica dei due tempi: prima il risanamento e poi gli interventi per lo sviluppo.I due criteri devono procedere insieme. Così pure la ripresa di rinascita della città non può ottenersi senza profonde innovazioni nel sistema produttivo e senza un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini, in particolare dei gruppi e delle realtà sociali che più hanno sofferto negli ultimi anni.
Occorre imboccare con decisione una "via alta alla competitività ed alla socialità" un po’ una riscoperta dello slogan dei “meriti e dei bisogni” che faccia leva sulla ricerca, sulla diffusione delle conoscenze, sulle risorse dei nostri territori e sulla coesione appunto sociale.
A questo obiettivo devono contribuire tutte le energie dei cittadini, delle parti sociali e delle istituzioni a questo credo si riferisca la scelta giusta del Vescovo.La qualità della nuova economia e di un nuovo modello di città si fonda sul TREPPIEDE conoscenza- innovazione- socialità.La sfida dello sviluppo richiede che si investa di più non solo nella ricerca ma anche nella educazione diffusa dei cittadini.Solo così le grandi potenzialità delle innovazioni scientifiche e tecnologiche possono diventare patrimonio comune e contribuire alla valorizzazione della città.La nuova città appunto la sua nuova dimensione la sua rinascita deve valorizzare tutte le capacità personali e imprenditoriali di cui è ricca .Per questo devono abbattersi gli ostacoli che frenano le capacità e le energie dei cittadini e delle imprese:i pesi eccessivi della burocrazia, ma anche le forme indebite di sussidio alle imprese, le penalizzazioni e la precarietà che limitano le possibilità di lavoro soprattutto di donne ed giovani, ma anche le posizioni di monopolio e le protezioni d cui godono molti settori
Combattere le rendite e le protezioni indebite aprendo a una concorrenza ed ad una sana competizione innovativa a tutto ciò non si puo dimenticare che l’ambiente e il territorio non sono solo “condizioni di compatibilità” per la crescita economica: sono fattori di sviluppo.
E questo vale in modo particolare per Terni, che ha un giacimento di risorse ambientali e territoriali di straordinario valore ma di degrado avanzato.
Noi crediamo che il rilancio economico del nostro paese è legato alla capacità di valorizzare le grandi qualità culturali e ambientali dei territori limitrofi, di sostenere le loro vocazioni produttive espresse in tanti aspetti del sapere della cultura della storia, innestandovi le innovazioni necessarie per farle crescere sviluppare innovare . Il successo delle nostre scelte economiche si misurerà dalla capacità di perseguire congiuntamente questi obiettivi:
- la difesa e la promozione dei beni comuni ambientali indispensabili alla vita e allo sviluppo;- l’uso efficiente delle risorse del territorio;- la modernizzazione dei sistemi produttivi specie di piccole imprese anch’essi a forte caratterizzazione territoriale;- la creazione di infrastrutture e di sistemi di mobilità in grado di migliorare la qualità dei territori e delle città.
La piena e buona occupazione permette di valorizzare tutte le risorse personali della citta, a cominciare da quelle preziose dei giovani e delle donne, molte delle quali restano inutilizzate.
Per noi sviluppo e sussidiarietà sono strettamente legati: la crescita è necessaria per creare occupazione e risorse da distribuire, ma per altro verso uno sviluppo di qualità richiede un modello sociale nuovo più attento alla solidarietà e ai bisogni delle persone. Se vogliamo che concorrenza e sviluppo servano veramente al benessere dei cittadini e non portino a diseguaglianze e tensioni sociali, dobbiamo accompagnarli con politiche sociali e del welfare che perseguano la piena e buona occupazione, che garantiscano tutele e diritti essenziali a tutti i cittadini, nelle diverse fasi della vita, che contrastino l’esclusione sociale e le povertà, vecchie e nuove, che promuovano le capacità delle persone e dei gruppi sociali.
La qualità sociale è insieme carattere fondamentale e obiettivo irrinunciabile della nuova economia.Un sistema di solidarietà attivo che risponda ai bisogni essenziali dei cittadini nelle varie fasi della vita, dall’infanzia alla vecchiaia, serve a dare sicurezza, a valorizzare le capacità di tutti, e quindi costruire quella fiducia nel futuro essenziale per guardare avanti, per investire e innovare.
Il modello che proponiamo per rilanciare sia la competitività sia l’occupazione e per rinnovare il welfare necessita di una grande coesione sociale che va costruita col consenso, si deve basare su un impegno comune delle forze sociali politiche del volontariato…dell’associazionismo
SIAMO PRONTI A RACCOGLIERE LA SFIDA

Sergio Bruschini

Pres. Vicario Il Circolo del Buongoverno Conca Ternana

venerdì 30 maggio 2008

Notizie dai Circoli dell'Umbria - Il Circolo di Montegabbione

Il consueto stile coinvolgente e dinamico di Rita Roncella, la presidente del Circolo del Buongoverno di Montegabbione, ha dato il ritmo alla bella occasione di incontro che si è svolta ieri, 29/05, alla sala IV Novembre di Fabro Scalo (TR). Dopo il saluto dell'On. Rocco Girlanda, di fronte a una sala affollata e attenta il Sen. Marcello dell’Utri, presidente nazionale dei Circoli del Buongoverno e Nicholas Farrel, editorialista di “Libero”, hanno presentato, in anteprima rispetto alla pubblicazione prevista per il prossimo inverno, i diari di Mussolini. Il Sen. Dell’Utri ha sottolineato come il rilevantissimo documento, lungi dal modificare il giudizio morale e storico sul fascismo, getti una luce nuova sulla persona di Mussolini, che spazza via le semplificazioni della propaganda di ogni colore, per mostrarci una persona di cultura, che con profondità nell’analisi e coscienza delle difficoltà ha governato l’Italia travolta dalla guerra mondiale.Alla conferenza è seguita una cena con la partecipazione dei massimi esponenti del PdL umbro, dove Rita Roncella e il Vicepresidente del Circolo di Montegabbione, Mario Montegiove hanno ottimamente svolto il ruolo dei padroni di casa e fornito una positiva occasione ai tanti dirigenti e semplici aderenti del PdL intervenuti, di respirare l'atmosfera di entusiasmo e buona volontà che accompagna il processo di crescita del nuovo Movimento anche in Umbria.

lunedì 26 maggio 2008

Mons. Paglia indica alla città di Terni la via difficile per la normalità

Il Vescovo di Terni Mons. Vincenzo Paglia con la sua iniziativa richiama le forze politiche e sociali della città di Terni a ragionare su quanto è possibile fare con un impegno comune di tutta la Città, non solo sul piano dei valori, ma anche su quello istituzionale e direttamente politico. E’ un atto forte, innovativo e coraggioso. Se questo sia anche uno sconfinamento, come molti hanno rilevato apertamente, o mugugnato a denti stretti, è una questione poco appassionante, chi vuole ha naturalmente tutto il diritto di rilevarla, ma alla critica deve far seguire anche una risposta nel merito dei temi che Mons. Paglia ha posto, che sono di primissimo piano per il futuro della Città di Terni, altrimenti si tratterebbe della ben nota “tecnica” politica di chi vuole eludere una risposta contestando il “diritto” dell’altro a parlare.
In queste riflessioni tralascio il livello dei valori, non perché non lo ritengo importante (al contrario il senso dei ragionamenti che stiamo svolgendo nel sito de Il Circolo Conca Ternana è esattamente questo, trattare insieme ai contenuti di più “semplice” amministrazione della Città, quelli della politica “alta”, delle ideologie e dei valori), ma perché credo che l’iniziativa di Mons. Paglia possa essere utile a “costringere” tutti ad affrontare questioni che hanno assunto a Terni carattere di emergenza, quindi i tempi devono essere ristretti e il tema dei valori ha bisogno inevitabilmente di più lunghi tempi di maturazione delle mentalità, anche se uniti alla quotidianità dell’impegno.
Il ragionamento sulla proposta si è giovato di alcuni importanti interventi: il primo in ordine di tempo è quello di Alfredo De Sio che, appunto, ha utilmente sottolineato l’esistenza di “emergenze sociali e morali che possono richiedere anche interventi e modalità straordinarie, quali quelle messe in moto dal Vescovo di Terni, favorendo momenti di discontinuità. Non si tratta di sostituire partiti e collocazioni ma di affiancare, anche moralmente, i fermenti positivi che nella società ternana ci sono e vogliono uscire dalla rassegnazione” (per il testo integrale clicca qui) (vedi anche Sergio Bruschini: la proposta di Mons. Paglia è utile, serve una via alta alla competitività e alla socialità)
Il secondo è quello dell’On. Alberto Provantini che, come autorevole esponente della maggioranza corre dei rischi rinunciando a facili vie d’uscita, e risponde sul piano della “politica alta”: rileva una insufficienza della politica odierna a Terni, contrariamente al passato, chiama tutti a collaborare affinché la politica cittadina riprenda il proprio ruolo, propone un metodo politico di reciproco riconoscimento tra maggioranza e opposizione delle rispettive buone ragioni e di collaborazione politica per il futuro della Città, quindi rafforza questa impostazione con proposte concrete di “nuovo corso” nel governo delle istituzioni politiche cittadine, attraverso aperture al riconoscimento di ruoli istituzionali ad esponenti dell’opposizione.
Il terzo è quello di Raffaele Nevi che risponde a tono e, anche lui corre dei rischi, invitando tutta l’opposizione a non utilizzare l’iniziativa del Vescovo come una critica implicita alla maggioranza, ma dichiarando non solo disponibilità, ma condivisione sostanziale della impostazione di Provantini. Nevi fa un passo in più in questa direzione definendo i contenuti dello scatto in avanti di cui necessita la politica cittadina e chiarendo il compito che le forze politiche di maggioranza e opposizione hanno davanti: quello di riprendere il filo che dopo l’impegno corale di tutta la Città che si è prodotto nella crisi delle acciaierie del 2004 si è interrotto. “ Ora è necessario riprendere quel filo“ “e uscire dalla logica dell’unità come ricetta emergenziale per arrivare alla logica della condivisione come fattore di sviluppo e di progresso economico e sociale della nostra comunità sui temi che abbiamo in agenda e che possono rappresentare la fine della transizione, da un modello di sviluppo incentrato solo sulla grande industria a un modello di sviluppo diversificato ed innovativo.” (per l’intervento integrale clicca qui).
L’altro tema che è subito aleggiato dopo l’iniziativa del Vescovo è stato quello della “supplenza”: alcuni hanno ventilato una volontà di Mons. Paglia di supplire le funzioni del Sindaco, ipotesi alla quale un autorevolissimo esponente della Curia ha gustosamente replicato che non ci può essere supplenza se non c’è mancanza. Personalmente ritengo che la supplenza ci sia e sia evidente, ma non è quella di Mons. Paglia nei confronti del Sindaco, piuttosto è quella di Provantini nei confronti del Sindaco. In effetti non può essere definita supplenza la richiesta del Vescovo alle forze sociali e politiche di alzare lo sguardo verso il futuro, ma è politicamente grave e, allo stesso tempo, interessante che il richiamo alla funzione della politica, i contenuti programmatici e le modalità istituzionali per realizzarli non provengano dal massimo esponente istituzionale del Centrosinistra, cioè il Sindaco in carica, ma da altro autorevolissimo esponente. E quella di Provantini è letteralmente supplenza, proprio perché c’è ed è evidente la mancanza.
Accolgo anche io di buon grado l’invito di Nevi a non utilizzare la questione per polemizzare, ma l’analisi non può prescindere dalle responsabilità. Ritengo che la politica sia un sistema con troppe variabili interrelate per accettare senza analisi e senza spiegazione convincente le accelerazioni che pure ci sono. Mi riferisco al livello nazionale: non è possibile che abbiamo vissuto per tutta la “seconda Repubblica” in un sistema bipolare e alternativo che vedeva solo nella denigrazione dell’avversario la funzione essenziale della politica, per svegliarci di colpo con le elezioni di pochi giorni fa in un sistema bipartitico e alternativo, in cui i due principali partiti non smettono di stupirsi ogni giorno di quante e quali possono essere le aree in cui utilmente maggioranza e opposizione possono collaborare per il bene del Paese. Ritengo invece che mentre il sistema politico nazionale mostrava le ragioni della crisi e il governo Prodi non aveva il coraggio, e forse nemmeno la possibilità, di aprire una strada nuova, sia iniziato per tempo un dialogo tra maggioranza e opposizione, evidentemente solo in piccolissima parte pubblico, per arrivare a questo risultato, che possiamo riassumere con l’espressione “democrazia compiuta”.
Allora, se così è stato, è lecito domandarsi, ma Terni che faceva?
Mentre la politica nazionale costruiva una alternanza matura per il bene del Paese, la politica a Terni cosa costruiva? La maggioranza oltre a sparare un giorno sì e l’altro pure delle cose enormi (una volta l’amministrazione comunale ha adombrato un complotto dell’Unione europea contro Terni per le sanzioni sull’energia, in molte occasioni ha rivolto violentissimi attacchi contro la Magistratura contabile, pochi giorni fa ha rivolto un durissimo attacco al Governo per il decreto sicurezza) che hanno finito per separarla dalle forze imprenditoriali (sono proprio quelle forze che per prime apprezzano la stabilità, la propensione all’innovazione, la sicurezza e l’efficienza anche in politica) è stata in grado a Terni di immaginare e promuovere il cambiamento?
Mi sembra di no, e prescindendo da Mons. Paglia, per evitare giustamente strumentalizzazioni, sembra di capire che ci siano anche importanti aree del centrosinistra che la pensano così.
Allora quello che è importante non sono tanto le diverse conseguenze e armi polemiche che possono discendere al Centrodestra da questa analisi, ma che ci troviamo di fronte a una opportunità, per il bene comune.
Non ci possono però essere semplificazioni da parte di nessuno, pena la perdita della credibilità: mi spiego, a livello nazionale si è dovuti passare per un voto in cui entrambi gli schieramenti proponevano le proprie proposte, unite ad una impostazione di riconoscimento del reciproco ruolo e palese volontà di collaborazione su alcuni temi importanti, che è stata da entrambi rimessa come un unico “pacchetto” al consenso degli elettori. A ben guardare questo è molto simile, o è in qualche modo coerente, con l’iniziativa di Mons. Paglia e con il senso della impostazione Provantini-Nevi.
In effetti il coinvolgimento della opposizione in ruoli cittadini istituzionali non deve essere visto da parte del Centrodestra come una opportunità di potere o, peggio, come una minore opposizione, e questo per due motivi:
1) perché un Centrodestra forte delle proprie ragioni e determinato ad incarnare il cambiamento deve ambire al ruolo di maggioranza, anche culturalmente
2) perché importante non è il segno esteriore (a ben guardare il segno esteriore è perfino in grado di creare qualche problema al Centrodestra), ma i presupposti che si devono determinare per realizzare quel segno esteriore.
I primi presupposti che mi vengono in mente sono:
- che l’Amministrazione comunale futura, di qualunque colore sia, dovrà dimostrare una volontà di rilancio non rituale, ma autentica e che per questo sia disposta a correre qualche rischio,
- che sia diffusa la convinzione che il rilancio passerà per un dialogo continuo, un reciproco riconoscimento, e l’individuazione di un insieme (minimo o massimo, scegliete voi) di proposte condivise
- che Terni, come l’Italia, ha bisogno di stabilità, innovazione, sicurezza ed efficienza della PAL,
- che Terni deve riagganciarsi alle dinamiche culturali ed economiche nazionali
- che la futura opposizione dovrà condividere questa impostazione e governare qualunque ruolo istituzionale in questo quadro (anche questo aspetto non è scontato)
- che le forze economiche non dovranno essere lasciate sole e che è indispensabile un ragionamento sulle disponibilità e sui prezzi dei fattori della produzione sul territorio,
- che lungi dal fare una “minore” opposizione, i contenuti e le modalità stesse dell’opposizione devono essere migliorati da subito in termini di qualità e incisività,
- che tutte queste cose dovranno essere chiaramente poste al vaglio degli elettori ternani.
Con la chiarezza che discende dalla buona volontà, questa impostazione troverebbe resistenze in entrambi gli schieramenti, molte di più, però, nel Centrosinistra, che deve fare i conti con una Sinistra dalla quale non vuole né può prescindere. Occorre comunque che in entrambi gli schieramenti si pongano questi temi all’attenzione del dibattito interno, che nessuno ceda alla tentazione di farne una battaglia di retroguardia del tipo: tizio è consociativo e io no, e che ne discenda una assunzione di responsabilità.
Non so se è polemica, comunque rilevo che finora l’Amministrazione comunale di Terni ha fatto la parte del governo Prodi: non vuole, e forse semplicemente non può, aprire una strada nuova.
Paolo Cianfoni

giovedì 22 maggio 2008

Appunto sulla meritocrazia

Quelli come me, di estrazione liberale, quando parlano della meritocrazia o intendono implicitamente lamentarsi che sono poco considerati dalla società (ma è un altro discorso), oppure hanno un approccio talmente astratto da essere quasi "sacerdotale". La meritocrazia, diversamente dal mercato che esiste di per sé, ha bisogno invece di essere praticata, per cui si potrebbe ipotizzare una sorta di "via pratica alla meritocrazia reale" che consiste semplicemente nell'abituarsi a riconoscere e apprezzare il merito, quando lo si incontra. Semplice, no?

lunedì 19 maggio 2008

Alfredo De Sio: "Un relativismo culturale ha avvelenato progressivamente il nostro modo di essere città"

Alfredo De Sio, consigliere regionale e coordinatore regionale di AN, giudica positivamente l’iniziativa di Mons. Paglia, concorda nell’analisi del declino, non in senso di rassegnazione, ma con un sano ed orgoglioso ottimismo nella possibilità che sia la politica ad evitarlo. Le ricette amministrative sono indispensabili, ma non sufficienti, perché questo declino assume la conformazione di una vera e propria decadenza. “In questo senso” - afferma De Sio – “c’è un senso grave di perdita dell’identità del nostro popolo, di frattura profonda della società ternana che ha perso i riferimenti La città è vissuta come terra di nessuno, dove l’altro è sempre più distante da noi pur vivendo sotto lo stesso cielo. Un relativismo culturale che ha avvelenato progressivamente il nostro modo di essere città. Ecco perché non è azzardato guardare con approccio diverso lo scenario locale alla luce di emergenze sociali e morali che possono richiedere anche interventi e modalità straordinarie, quali quelle messe in moto dal Vescovo di Terni, favorendo momenti di discontinuità. Non si tratta di sostituire partiti e collocazioni ma di affiancare, anche moralmente, i fermenti positivi che nella società ternana ci sono e vogliono uscire dalla rassegnazione.”